Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Alberto Gallerati.
Definiamo Bolla Piacentina l’atmosfera pittorica respirata nella nostra città dalla seconda metà del XX secolo. Nei secoli scorsi Piacenza ha dato i natali a pittori importanti come Boselli e Panini, per citarne un paio; ha ospitato grandi artisti come Mochi, Pordenone, Guercino, ma non era mai successo prima, che un gruppo di artisti lavorasse fianco a fianco senza mai lasciare la città, inventandosi ognuno il proprio mondo; questo è avvenuto, appunto, negli anni successivi al 1950 e ci piace inoltre chiamarlo bolla piacentina. Il nucleo fondatore era formato da Spazzali, Foppiani, Armodio e Bertè; la poetica del gruppo era all’inizio quella di Spazzali, anche se non si può dimenticare il fondamentale apporto tecnico del Prof. Concerti, insegnante dell’Istituto d’Arte Gazzola.
La bolla nacque dalla quasi contemporaneità di otto pittori, che menzioniamo in ordine cronologico: Cinello, Braghieri, Romano Tagliaferri assieme a Grassi, poi Gallerati, Peratici, Canepari e Lella Bertante, successivamente, lo scultore Tirelli. A questa schiera si unirono presto gli allievi diretti o indiretti: Liliana Agosti, il bolognese Benghi, il casalese Palazzini, Cappelletti, Gatti, Schenardi detto Pam e Paola Foppiani, figlia di Gustavo.
Dall’inizio del fenomeno sono passati quasi 70 anni ed è ormai storia. Questi artisti hanno avuto mercanti come: Forni, Marescalchi, Gianferrari, Guimiot, Senesi, Purificato solo per citarne alcuni. Che cosa hanno in comune questi Artisti? In primo luogo sono lontanissimi dal naturalismo e in ogni loro opera appare una storia vista con gli occhi dell’ironia; limitata in Bertè,Grassi, Romano, Canepari e Gatti; essi recisero il cordone ombelicale che li legava alle nuovissime trovate artistiche rinobilitando il mestiere, quello della più alta tradizione italiana, rinnegata solo a parole dai futuristi. Gustavo Foppiani, alla fine della presentazione di un suo catalogo, scrisse circa così “è nel mestiere e solo nel mestiere che voglio essere giudicato”.
Spazzali e Foppiani ben dimostrarono negli anni Cinquanta di conoscere le avanguardie: Spazzali inviò in America deliziosi lavoretti quasi astratti mettendo in evidenza la lezione di Burri, Foppiani invece confezionò acquarelli per metà espressivi e per metà con le scansioni spazialiste di Scanavino. Questi due artisti però rifiutando le avanguardie scelsero la via opposta come fece De Chirico con Klee e Kandinskij. Cinello, più di Armodio e Bertè, arriva da questa strada.
Gli Artisti della bolla hanno tutti una concezione precisa della tecnica, che appare leggera ad un primo sguardo, ma assai complessa ad un esame più attento.
Questa presa di posizione rispetto a quel che nasceva a New York (per menzionare una delle fucine dell’arte moderna) ha formato una “bolla” impermeabile a qualsiasi rivoluzionaria novità, come i bambini impiccati con sapienza mediatica da Cattelan.
Quindi, che rapporto c’è tra gli artisti alla moda che sono ai vertici del mercato dell’arte moderna ed il gruppo dei piacentini? Nessuno naturalmente, così come il “canard a la presse” è lontanissimo dalla “piccula ad caval” che si gusta nelle osterie piacentine o, se preferite, come l’Hot Dog nulla ha a che vedere con gli anolini in brodo di terza.
Nonostante questo, la bolla piacentina non è un caso provinciale di piccole vedute ristrette, perché le opere prodotte, unitamente al successo vidimato da importantissimi critici, dimostrano il contrario.
In conclusione, quello che è capitato a Piacenza, è successo molto raramente nel mondo dell’arte: con diverse motivazioni, si forma un gruppo di pittori che non lasciano mai fisicamente la loro città e concepiscono un’estetica singolare, somigliante per certi versi agli abitanti della città stessa per via di una tagliente ironia. Esiste una simbiosi tra questo genere di pittura ed i piacentini stessi ed è il momento di prenderne consapevolezza.
I pittori in questo piccolo Borgo, anche quelli non compresi nella Bolla, come antichi conservatori di chissà quale ordine cavalleresco, si tenevano d’occhio l’un l’altro, pronti a rammentarsi a vicenda, se era il caso, l’etica della loro professione.