Reddito di cittadinanza, Lega: “Aiutare i disoccupati a reinserirsi, non fare la carità”

«La riforma del Jobs Act ha fallito e così pure il cosidetto REI. Molto lontani dalla realtà e dalla esigenze della popolazione. Noi proponiamo il reddito di cittadinanza, che punta al reinserimento dei cittadini italiani momentaneamente disoccupati». E’ una parte della mozione della maggioranza, presentata ieri, 16 luglio, alla Camera dal deputato della Lega, Elena Murelli (capogruppo del Carroccio in Commissione lavoro). La mozione risponde a quella del Pd, che aveva proposto l’estensione del Reddito di inclusione.

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Il reddito di cittadinanza come avviene in tutta Europa, tranne Italia e Grecia, è destinato ai cittadini italiani, è uno strumento di aiuto (non «un atto caritatevole»), prevede controlli per evitare ai “furbetti” di lavorare in nero e sarà negato « a chi si rifiuta di svolgere le mansioni dell’attività lavorativa offerta».

Per Lega e M5S il REI «raggiunge sostanzialmente solo le famiglie che risultano in condizione di povertà assoluta che sono stimate in 110.000, ovvero 317.000 persone, con un importo medio del beneficio mensile pari a poco meno di 300 euro, che sale a 430 euro per le famiglie con minori». Ma l’Istat segnala che nel 2017 ci sarebbero «in povertà assoluta 1 milione e 778 mila famiglie residenti in cui vivono 5 milioni e 58 mila individui» e la povertà relativa è stimata in 3 milioni 171mila famiglie residenti e 9 milioni 368 mila individui. E la disoccupazione tra i giovani, sempre secondo i dati Istat, «è pari al 31,7%».

Il welfare italiano, ha sottolineato Murelli «è in ritardo» e i Centri per l’impiego non funzionano: «Si contano circa 556 sportelli con meno di 9mila dipendenti – di cui solo 1.300 a tempo determinato – contro i 110mila dei corrispettivi tedeschi. E oggi non riescono a trovare lavoro quasi a nessuno! Si stima che su 100 nuove assunzioni solo 1 proviene dai centri per l’impiego e questo sta a indicare che manteniamo 556 centri improduttivi». La mozione evidenzia anche come «per le politiche del lavoro si sono spesi fino ad ora 7 miliardi di euro di cui il 55% destinato a incentivi per le assunzioni, il 40% alla formazione, il 4% all’avvio di start-up e solo l’1% alla creazione diretta di posti di lavoro».

Murelli ha concluso: «Sono ben diversi gli investimenti in altri Paesi europei dove i centri per l’impiego hanno una parte molto attiva per favorire l’incontro tra domanda e offerta».