Pordenone, il profeta del manierismo prima del ciclo piacentino

Un Refettorio del convento di Santa Maria di Campagna gremito quello di sabato 14 aprile per l’incontro di studi “Pordenone e la Maniera Padana”, coordinato da Valeria Poli con la partecipazione di Edoardo Villata, Costanza Barbieri e Roberto Venturelli. A rappresentare la Banca di Piacenza è presente il Presidente del Cda Giuseppe Nenna, che ha ringraziato gli studiosi e il pubblico presente. L’architetto Valeria Poli, coordinatrice del Convegno e autrice dell’omonimo catalogo della mostra sul Pordenone edito da Skira, prima di introdurre i relatori ha raccontato le motivazioni che l’hanno spinta a organizzare il pomeriggio di studi, nato nell’ambito delle iniziative collaterali della Salita al Pordenone. Si tratta di un incontro di studi per focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti di grande interesse per la ricostruzione della figura professionale di Antonio de Sacchis (1483-1539), detto il Pordenone, anche in vista delle celebrazioni previste nella città natale il prossimo anno. Il Convegno si propone di ricostruire nella sua complessità l’attività di Pordenone al di fuori dell’ambiente piacentino costituendo il logico completamento degli studi confluiti nel catalogo edito da Skira.  I tre contributi dei relatori permettono di spaziare dall’attività di Pordenone prima dell’arrivo a Piacenza ad approfondimenti dedicati ai cicli di Cortemaggiore e Cremona.

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Il primo studioso è Edoardo Villata, docente di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, curatore della mostra di disegni del Pordenone alla Biblioteca Ambrosiana nel 2016 e autore della voce dell’artista nell’Enciclopedia Treccani.  Il suo intervento, dal titolo Prima di Piacenza. Percorso del Pordenone nella maniera moderna, affronta il periodo precedente l’attività piacentina.  Gli affreschi nella basilica di Santa Maria di Campagna rappresentano, infatti, l’approdo manierista del Pordenone, che nel decennio precedente subisce l’influenza delle novità dettate dai grandi artisti romani, da Tiziano a Raffaello, da Michelangelo a Giorgione. Il confronto con artisti così diversi da ciò cui era abituato destabilizza Pordenone, e lo costringe a sperimentare. Non solo Roma, bensì tornando verso l’Italia settentrionale affronta anche le sollecitazioni del Correggio e del Parmigianino. Nella vicina Cremona è il maestro intarsiatore Paolo Sacca a instillare in Pordenone l’interesse nei confronti della prospettiva. Negli affreschi di Santa Maria di Campagna si nota un rapporto privilegiato con il Parmigianino, soprattutto attraverso l’utilizzo di colori che si allungano, di superfici che diventano preziose, e di veri e propri intarsi. Novità forte negli affreschi piacentini è anche lo studio della decorazione, che a differenza delle opere di Treviso, Cremona e Cortemaggiore – dove era la pittura a reinventare gli spazi – qui diventa parte integrante dell’architettura. Il significato è chiaro: è passato il decennio infuocato della scomposizione architettonica, si torna alle regole della maniera lombarda.

Villata passa poi in rassegna una pala appartenente alla Pinacoteca di Brera, che proietta Pordenone tra i pittori meno classici, per i personaggi dai colori vividi e forti che lo accumunano ad esempio a Romanino, se lo vogliamo usare come punto di avvicinamento a Tiziano. L’affresco custodito nella chiesa di San Pietro ad Albiano, in Umbria, lo avvicina al Raffaello della Madonna di Foligno per la compostezza architettonica. Anche la celebre Cappella del Malchiostro di Treviso lo accomuna a Raffaello e a un esuberante Michelangelo, in particolare per la maniera “michelangiolesca” di scaraventare le figure sul proscenio, apparentemente senza alcuna prospettiva. Gli influssi romani nel percorso del Pordenone fanno intuire un viaggio a Roma intorno al 1519. Nel ritorno in Val Padana, le pale del Duomo di Cremona lo riportano più vicino ai pittori lombardi. Pordenone non è il solo a subire le sollecitazioni della Città Eterna: Villata ricorda anche Gaudenzio Ferrari e il Correggio.

Ma Pordenone è anche innovatore in quanto reinventa una nuova architettura, crea un gioco illusivo totale soprattutto nella sua opera di Cortemaggiore, l’Annunciazione. Qui le figure rispetto agli affreschi di Cremona si sono placate, e il confronto con il Correggio è serratissimo. Villata termina il suo intervento analizzando alcuni disegni del Pordenone mettendoli a confronto con altri del Parmigianino.

L’architetto Poli, ringraziando lo studioso per l’interessante contributo, ricorda al pubblico che Villata sarà il curatore del catalogo della mostra che sarà allestita a Pordenone nel 2019 e che è grazie ai suoi studi che si è riusciti a datare le opere di Cortemaggiore nel 1925.

Secondo contributo quello di Costanza Barbieri, docente di Storia dell’arte moderna e Storia del disegno nell’Accademia di Belle Arti di Roma, dove si occupa di storia delle immagini e d’iconologia contestuale, con particolare attenzione al Cinquecento. Il suo intervento, dal titolo Il tema dell’Immacolata Concezione nel ciclo del Pordenone a Cortemaggiore, tratta della lettura iconologica della pala d’altare della cappella Pallavicino a Cortemaggiore, ora custodita a Capodimonte e sostituita da una copia dei Carracci. Su questa pala, vicina per analogia alla Pala Pesaro (in particolare per l’utilizzo del trompe-oeil) sono state elaborate due ipotesi: che la figura femminile raffigurata sia Maria durante l’Annunciazione, oppure la madre Sant’Anna durante l’Immacolata Concezione.
L’identificazione del tema iconografico s’inserisce nell’ambito delle controversie teologiche, tra Francescani e Domenicani. La pala rappresenta un caso interessante di ambiguità interpretativa, secondo Costanza Barbieri, dovuta alla sua decontestualizzazione rispetto all’intera cappella dipinta, che ha determinato la perdita dei nessi tematici con il programma dell’intera cappella tradizionalmente dedicata all’Immacolata Concezione della Vergine.
Storicamente, infatti, sulla scena dell’Annunciazione deve essere presente l’Angelo, qui invece assente. Altra caratterizzazione che si ritrova nei canoni francescani dell’Annunciazione è il racconto delle quattro fasi dell’Annunciazione: perturbatio, interrogatio, cogitatio e humiliatione, sempre distinte nell’iconografia dei pittori dell’epoca.

La Barbieri arriva poi ad analizzare la figura femminile, troppo attempata per rappresentare una Maria dall’età virginale. Nel momento della realizzazione della pala del Pordenone non si era ancora standardizzata un’iconografia per l’Immacolata Concezione: al termine del suo intervento la studiosa passa in rassegna opere del Malosso, Francesco Francia, Bartolomeo Cesi, Jacopo Bassano, Sebastiano Piombo, per arrivare infine a Lorenzo Lotto: tutte iconografie diverse tra loro.

Sottolineando il fatto che l’approccio della Barbieri è prezioso in quanto multidiscinare, la coordinatrice del Convegno la ringrazia e passa il testimone all’ultimo relatore, Roberto Venturelli, docente di storia dell’arte presso il liceo artistico di La Spezia, che ha affrontato il tema in occasione del Dottorato di ricerca, conseguito presso l’università Ca’ Foscari di Venezia.

L’intervento di Venturelli Pordenone a Cremona. Iconografie, contesti, significati è dedicato a una tappa fondamentale dell’affermazione del Pordenone in area padano-lombarda, ovvero il ciclo di affreschi sul tema della Passione di Cristo eseguiti dal friulano nel Duomo di Cremona nel 1520-21.

Le immagini sono veicoli di significato e oggi come allora sono strumenti di comunicazione potentissima. Quando Pordenone è chiamato a Cremona nel 1520 per ultimare il ciclo di affreschi del Duomo, rimangono da completare tre arconi e il grande progetto della contro-facciata. A decidere soggetti e autori erano coloro che avevano in mano il potere politico di Cremona, i dieci presidenti, massimo organo civico della Città. I tre fabriceri responsabili della gestione del Duomo nel 1520 chiamano il Pordenone con un chiaro intento: quello di distaccarsi dalle precedenti esperienze pittoriche e in particolare quelle del Romanino. Il Pordenone firma il suo contratto il 20 agosto 1520, e la scelta divide la città tra coloro che preferivano la calma figurativa del Romanino, e quelli che apprezzavano la novità stilistica dell’artista veneto. Quasi sicuramente il Pordenone venne chiamato a Cremona dopo che nel 1519 si occupò della realizzazione di alcuni affreschi sulla facciata del Palazzo Ceresara di Mantova, ora andati perduti. Le cronache ricordano questi affreschi come opere particolarmente impressionanti, che avevano colpito i politici cremonesi per il loro impeto e irruenza. Pordenone sembra voler portare avanti in quegli anni l’idea di figura che irrompe, la cosiddetta “terribilità” che produce un coinvolgimento diverso nello spettatore, un tipo di comunicazione persuasiva ed efficace.

Venturelli passa poi all’analisi del primo arcone e spiega la sua scelta di raccontare la storia di Ponzio Pilato, il politico romano colpevole di aver mandato a morte Gesù Cristo. La scelta non è casuale: l’innovativa formulazione linguistica e iconografica di quegli affreschi fu elaborata dal Pordenone e dai suoi committenti nel contesto di un violento conflitto tra il governo cremonese e la locale comunità ebraica. Attraverso la rappresentazione della Passione di Cristo il governo cremonese volle enunciare le ragioni storiche e universali, e non solo materiali ed effimere, del proprio tentativo di espellere gli ebrei da Cremona o almeno di ottenere la loro separazione all’interno della città.

Col Pordenone lo spazio pittorico sopra le arcate del Duomo viene unificato, rompendo così la continuità precedente. Per dare movimento ed espressione ci voleva probabilmente uno spazio unico, non più diviso come negli affreschi dei predecessori.

Con la conclusione del terzo intervento termina il Convegno di Studi sul Pordenone, che ha preso in esame le multiformi esperienze maturate dal pittore nel cruciale decennio precedente a Piacenza e che può servire a meglio contestualizzare e comprendere le scelte stilistiche, tutt’altro che ovvie, maturate nel cantiere piacentino.

L’architetto Poli ringrazia la Banca di Piacenza per aver permesso di organizzare una così importante iniziativa come quella della Salita al Pordenone, i tre relatori e in particolare Secondo Ballati per la disponibilità e il folto pubblico che ha partecipato al pomeriggio di studi.