“La rete Ready non prevedeva costi per le amministrazioni aderenti e soprattutto non prevede l’insegnamento della teoria gender nelle scuole. Anche perché non esiste alcuna teoria gender”. In sostanza è questo il concetto alla base della manifestazione che Arcigay ha organizzato questo pomeriggio in piazza Cavalli, davanti al Municipio, per protestare contro la decisione della giunta Barbieri di uscire dal network contro le discriminazioni di genere. Una manifestazione alla quale hanno partecipato anche volti noti della politica piacentina come i consiglieri comunali del Pd, Stefano Cugini e Giulia Piroli, il consigliere comunale di Piacenza In Comune, Luigi Rabuffi e il segretario provinciale della Cgil.
“Entrando nella rete Ready, la nostra giunta ha voluto lanciare un messaggio contro le discriminazioni – spiega Stefano Cugini, allora assessore nell’amministrazione Dosi – la giunta attuale ha voluto invece correggere il tiro sostenendo che ci sono cittadini di serie A e di serie B”.
La rabbia della folla è soprattutto concentrata contro l’assessore Massimo Polledri della Lega Nord, l’autore della richiesta, poi promossa dalla giunta, di uscire da Ready: “Quando ho terminato di scrivere questo mio intervento mi sono reso conto che era interamente dedicato a Polledri – spiega alla folla Davide Bombini, di Arcigay – allora lo ho strappato, perché non volevo parlare di una sola persona quando questa situazione riguarda così tante persone come siete voi qui oggi”.
I manifestanti si dispongono a semicerchio intorno al microfono davanti al quale si alternano i rappresentanti della politica e delle associazioni, le loro parole infiammano la folla. Uno dei più carichi nell’annuire e nel partecipare ai cori è un bambino di circa dieci o dodici anni che sventola orgoglioso la bandiera dell’Arcigay.
Per fare un po’ di chiarezza sul tema abbiamo chiesto a Paola Romanini, presidente di Arcigay Piacenza di spiegarci cosa in concreto e nella pratica la rete Ready avrebbe garantito alle persone LGBT (Lesbiche, gay, bisessuali e transgender): “Per esempio il Comune avrebbe avuto la possibilità di creare formazione e informazione attraverso figure specializzate per evitare fenomeni discriminatori. Un percorso per approfondire il tema e capire al meglio la problematica perché la consapevolezza deve partire da chi ci amministra. Uscendo da Ready, la giunta ha di fatto dichiarato che non le importa nulla di capire i diversi orientamenti sessuali dei propri cittadini e non le importa nulla di eventuali discriminazioni”.
Stesso aspetto sottolineato dal presidente nazionale di Arcigay, Flavio Romani: “Il punto è questo, la rete Ready non implica alcun obbligo da parte delle amministrazioni aderenti. Se una giunta vuole mettere in pratica strumenti contro le discriminazioni lo può fare, ma nessuno la obbliga a muoversi in alcun senso. Quindi per una città fare parte di Ready o non farne parte è esattamente la stessa cosa sotto il profilo di eventuali impegni o costi. La giunta Barbieri avrebbe potuto tranquillamente restare all’interno di Ready senza agire in alcun senso e nessuno avrebbe imposto nulla. Questo da ancora più forza al gesto di uscire dalla rete: significa che questa amministrazione ha voluto rimarcare anche sotto il profilo politico il proprio disinteresse dalle tematiche LGBT”.
Dite che non esiste alcuna teoria gender, però sostenere che si debba andare oltre la famiglia tradizionale è essa stessa una teoria, quindi una base ideologica l’avete?
“Ma non si tratta di ideologia, semplicemente fotografiamo la realtà per come è – continua Romani – l’ideologia gender è uno spauracchio, noi stessi non sappiamo cosa sia. Le famiglie tradizionali esistono e nessuno le vuole cancellare, io stesso sono nato da una famiglia tradizionale. Però vogliamo portare all’attenzione di tutti che esistono altre tipologie di famiglie di cui dobbiamo tenere conto. Non è una gara, è semplicemente voler convivere tutti insieme in una società più giusta”.
E per quanto riguarda gli insegnamenti all’interno delle scuole?
“Quelli che dicono che vogliamo omosessualizzare i giovani mi fanno molto ridere – spiega Romani – io sono andato decine di volte nelle scuole a parlare, ma innanzitutto andiamo tra i ragazzi delle scuole superiori, quelli un po’ più grandi. E semplicemente spieghiamo che ci sono uomini a cui piacciono gli uomini e donne a cui piacciono le donne. Spieghiamo che se un compagno di classe è gay o trans non va picchiato o insultato. Non vogliamo far diventare gay nessuno, anche perché non ci riusciremmo, non è possibile”.