Insulti e calci a una profuga nigeriana di 28 anni. I fatti sono accaduti l’altro giorno a bordo dell’autobus numero 17, nei pressi di via Emilia Pavese. La donna, accompagnata dai suoi due figli, sarebbe stata presa di mira da un uomo e una donna che dopo averle sferrato un calcio l’avrebbero seguita una volta scesa dal mezzo. Solo l’intervento della polizia municipale ha riportato la calma. Sulla vicenda, su cui gli agenti stanno ancora effettuando accertamenti, interviene una lettrice che vuole far sentire la propria vicinanza alla donna aggredita.
Ero in un bar e leggevo il giornale mentre al tavolo accanto un signore faceva lo stesso: “”Botte e insulti razzisti” la denuncia di una profuga. Una donna di 28 anni che si trovava sul bus 17, alle ore 12 di martedì 10 ottobre 2017, è stata insultata pesantemente da “una giovane e da un uomo “ i quali , prosegue l’articolo di cronaca, incuranti del fatto che la donna nigeriana fosse sta con i suoi due bambini molto piccoli, l’avrebbero aggredita con calci e a pugni”, mandandola al Pronto Soccorso dove è stata medicata e dimessa con tre giorni di prognosi per contusioni alla guancia destra, alle braccia e alle gambe. Chi avrà avuto cura dei suoi bambini mentre lei veniva curata? Quanto piccoli sono i bambini? Non so, so però che, con una meravigliosa spugna marina, mi immagino di sciacquare via e dissolvere la traccia che questo episodio ha lasciato nelle loro menti e nei loro corpicini in crescita.
Mi chiedo con le parole di Toyin Adewale-Gabriel, una poetessa nigeriana che mi è venuta in aiuto per raggiungere per le vie della poesia e del cuore questa sorella nigeriana “Were a word to…” cioè “Dove posso trovare le parole per…” dirle che le sono vicina, che vorrei si sentisse abbracciata, che anche il signore del bar vicino a me era intenerito a pensare a lei, e sono sicura che avrebbe voluto proteggerla, e come noi tante e tanti anche in questa città, siamo addolorati per quanto è successo e vorremmo farle capire come ci siamo rimasti male, ma tanto male, a leggere di questa violenza su di lei e i suoi bimbi.
Le dedico questo pezzetto di poesia chiedendo gentilmente alle operatrici e agli operatori del progetto per richiedenti asilo politico “Asp Città di Piacenza l’Ippogrifo” di fargliela pervenire insieme con il mio messaggio di grande affetto e solidarietà.
“Where a word to hold the edge of blue waters
when the waves wrestle
like rival wives?Where is a word to hold a woman
when she runs,
runs, runs…
where is a word to stamp out a fire
when a sky has no
home?
Listen to yourself.
Listen to the gossip of seas,
washing
up Nombolisa’s cooking stones.(…)”Toyin Adewale-Gabriel
Un pensiero anche per l’uomo e la donna che l’hanno assalita: tanta violenza non può non nascere da tanta sofferenza. Auguro loro di riuscire a dare un volto ai propri sentimenti, alla propria rabbia per riuscire a non esserne posseduti. Che la conoscenza li aiuti anche a sentire col cuore, nonostante non ci sia molto aiuto per chi voglia fare questo percorso di guarigione interiore,che può dare più pace che non aggredire una donna alla presenza di suoi bambini che guardano.
La giovane donna che ha subito questa violenza ha capito che queste persone “dovevano avere problemi nella loro testa” e credo sia proprio così.
Aiutiamo queste nostre teste a conoscere di più sulle vite delle persone che chiedono asilo, costrette per varie ragioni a scappare dal proprio Paese, anche con il contributo dei media che non raccontano abbastanza il male grande e devastante che l’Europa e non solo ,ad esempio ha fatto e continua a fare alla Nigeria anche solo per l’estrazione del petrolio.
Aiutiamo i nostri cuori, cioè il nostro equilibrio emotivo, così provato dalle difficoltà di questo nostro tempo, ad aprirsi e dirigersi dove sentiamo che c’è veramente ancora umanità e amore, tenerezza , competenza, e credibilità (sigh!), e non propaganda ignorante che dà facili risposte a problemi complicati ma non per questo non affrontabili e comunque non certo risolvibili con le scorciatoie dei discorsi rabbiosi, razzisti, ignoranti, cioè che non conoscono ciò di cui vanno parlando. Io credo che abbiamo tutte e tutti una specie di sesto senso per capire se abbiamo di fronte una persona autentica di cui fidarci o no, oso dire e non senza sforzo , pensiero politico a parte.
Ora sappiamo che dentro ciascuno di noi come esseri umani c’è anche la capacità di aggredire fisicamente oltre che con il pensiero, con l’indifferenza, l’ignoranza auto-giustificata, l’egoismo, l’irresponsabilità, la pigrizia .
Abbiamo di che occuparci: non scappiamo via da questa presa di coscienza e non perdiamo tempo a farci qualcosa. Ne va della vita di tutte, tutti, ciascuna e ciascuno di noi esseri umani in qualunque posto del Pianeta siamo nati.
Ma a te sorella nigeriana, perché questo sappiamo della tua identità che per ora vuoi tenere nell’anonimato, solo un chiaro messaggio vorrei ti arrivasse: non sei sola, ci sono pensieri che vorrebbero raggiungerti e dietro questi pensieri ci sono persone in carne e ossa che vorrebbero avvolgerti di tenerezza e chiederti scusa, in un qualche modo.
Francesca Molinari