La Guardia di Finanza di Teramo stava indagando su un soggetto residente nella città abruzzese, un camionista di 38 anni pregiudicato, da un po’ di tempo finito sotto la lente delle forze dell’ordine per alcuni trasporti di carburante sospetti.
Carichi che parevano provenire da Piacenza, motivo per cui le fiamme gialle hanno contattato la compagnia della nostra città chiedendo di accertare i movimenti dell’uomo. Accertamenti che hanno condotto i militari in un capannone nella zona industriale di Fiorenzuola. Spalancate le porte del magazzino i finanzieri hanno sgranato gli occhi: all’interno era stato montato un sofisticato sistema di pompe elettriche, serbatoi, contalitri e valvole a pressione, il tutto collegato a una rete di tubi lunga 250 metri che conduceva in mezzo a un campo nelle vicinanze. I tubi che partivano dal magazzino erano stati collegati attraverso un lavoro estremamente professionale all’oleodotto di proprietà dell’Eni che unisce la provincia piacentina alla raffineria di Sannazzaro de’ Burgundi, in provincia di Pavia.
Gli investigatori si sono ben presto resi conto di trovarsi di fronte a veri professionisti del furto di carburante: ignoti avevano affittato il capannone nell’agosto scorso e lo avevano attrezzato con apparecchiature moderne e innovative di fabbricazione russa, attrezzature automatiche che giorno dopo giorno hanno iniziato a sottrarre carburante all’oleodotto dell’Eni collegato all’impianto attraverso un allaccio abusivo molto ben fatto. Talmente ben fatto da impedire alle centraline dell’Eni di capire che qualcosa non andava: le pompe assorbivano carburante a ritmi ben precisi, talmente lenti che i sistemi di monitoraggio non riuscivano a percepire cali di pressione e anomalie; o meglio, i cali di pressione dovuti ai prelievi fraudolenti venivano interpretati dalle macchine e dai computer centrali come normali rallentamenti causati dagli sbalzi di temperatura. Oltre alle strumentazioni la guardia di finanza ha trovato nel capannone 18 tonnellate di carburante stoccato in serbatoi (circa 23mila litri per un valore di 30mila euro) e un ramificato sistema di videosorveglianza, con telecamere persino piazzate tra la boscaglia intorno alla struttura.
Come detto l’impianto di assorbimento del carburante funzionava da solo e non c’era bisogno di manodopera dal momento che i vertici dell’organizzazione erano in grado di comandare le apparecchiature a distanza attraverso sofisticati software: l’unica persona che regolarmente si recava nell’edificio era l’abruzzese 38enne incaricato di svuotare i serbatoi, travasare il gasolio nell’autocisterna (adeguatamente camuffata e nascosta all’interno di un rimorchio) e trasportare il carico ai clienti che si affidavano all’organizzazione.
Chi erano i clienti? La guardia di finanza ha individuato decine di avventori in tutto il centro Italia, tra titolari di pompe di benzina o aziende di vario tipo, attirati dal basso costo del carburante: i benzinai avevano un margine di guadagno maggiore e comunque potevano proporre il prodotto al dettaglio a un prezzo più basso dei concorrenti, mentre le aziende risparmiavano sul rifornimento delle flotte aziendali. Insomma, i vantaggi c’erano eccome, senza contare le tasse non pagate e le accise evase. Un giro d’affari enorme: i finanzieri, pedinando e seguendo l’autotrasportatore, hanno accertato il furto e la successiva rivendita di oltre 50 tonnellate tra benzina e diesel, ma si teme possano essere molti di più.
Per ora l’unica persona finita nei guai è l’autotrasportatore, denunciato con l’accusa di furto e sottrazione all’accertamento e al pagamento dell’accisa sui prodotti energetici. La guardia di finanza ritiene che alla base ci sia una vasta e ramificata organizzazione di professionisti, forse originari dell’est Europa, ma arrivare alla loro identità è un compito molto difficile: nonostante la grandezza del sistema creato, infatti, gli autori hanno fatto in modo di essere praticamente invisibili e questo grazie a una studiata rete di prestanome, cellulari usa e getta, false intestazioni, mancanza assoluta di qualsiasi traccia cartacea.
“A Piacenza crediamo non vi siano altri impianti di questo tipo – spiega il comandante della Guardia di Finanza Daniele Sanapo – ma non è da escludere che la stessa organizzazione abbia altri centri in altre zone d’Italia, le indagini sono solo all’inizio. Quel che è certo è che oltre al danno finanziario causato all’Eni, allo Stato e ai benzinai onesti, si è rischiato anche un vero disastro ecologico perché il sistema era effettivamente ben fatto ma parliamo comunque dell’opera di malviventi a cui nulla interessa dell’ambiente”.
Altro aspetto. I tubi collocati dall’organizzazione erano stati fissati profondamente nel terreno, un lavoro che ha richiesto un intervento complesso e parecchio invasivo. Nonostante questo il proprietario del campo dove sono stati effettuati i lavori illegali non si sarebbe accorto di nulla e per ora rimane estraneo ai fatti: “Quando Eni deve effettuare dei lavori lo comunica in via preventiva ai proprietari dei terreni. Per questo motivo invitiamo chiunque veda ruspe e lavoratori all’opera nel proprio campo ad avvisare le forze dell’ordine nel caso non fossero stati avvisati da nessuno” conclude Sanapo.