A 4 anni dal sisma in Emilia: “Ancora nei container, preferirei morire”

“Se penso al sisma mi viene ancora da piangere. E piuttosto che vedermi ancora in un container preferirei morire”. Sono le parole di Albertina Dondi, 76 anni, scampata miracolosamente al sisma d’Emilia del 2012. La sua casa è inagibile da 4 anni. E da 4 anni lei e suo marito vivono in un, cosiddetto, Mar (modulo abitativo rurale), dopo aver dormito per settimane in auto e sotto una tenda in plastica.
Ad Albertina Dondi e ad altre storie di terremotati nei container hanno dato voce Filippo Manvuller e Laura Badiini, giornalista e fotografa di Piacenza, in un documentario in sei minuti che condensa ore di riprese. Un documentario che racconta, tra le altre, la storia di Franco Bastia di Alberone di Cento: da 4 anni in una casa mobile, con una casa appena ricostruita ma da demolire perché lungo il tracciato della Cispadana. Nel filmato compare anche la testimonianza di Bruno Cavicchi e della moglie Romana, genitori di Nicola, 35enne morto il 20 maggio 2012 sotto le macerie delle ceramiche Sant’Agostino. Una morte per la quale la famiglia ha finora ottenuto dall’Inail la miseria di 2mila euro. “Le istituzioni – dice amaramente Bruno Cavicchi – stanno facendo in tutti i modi perché il terremoto del maggio 2012 in Emilia non sia mai avvenuto”. Storie dimenticate, storie di morte, di crolli, di burocrazia e di tanti soldi spesi (ieri e oggi) da cittadini e aziende per gestire un’emergenza che non è finita. E’ il caso delle bollette nei moduli abitativi provvisori – citate nel documentario -: 5-600 euro ogni due mesi (interamente a carico dei terremotati) per riscaldarsi, in container serviti solo dall’elettricità. E le aziende, col biomedicale di Mirandola, duramente colpito dalle scosse. “Siamo stati trattati tutti come potenziali mafiosi e ‘ndranghetisti e questo dà un po’ fastidio. Ora servono regole nazionali di riferimento per far fronte alla ricostruzione post-calamità, noi emiliani abbiamo l’esperienza per essere utili e dare consigli”, dice il ‘portavoce’ Alberto Nicolini. E poi c’è il capitolo delle opere pubbliche e delle chiese: “Dopo quattro anni dal terremoto la situazione risulta essere ancora, ahimé, più o meno la stessa”, testimonia don Stefano Zanella, direttore dell’Ufficio tecnico dell’arcidiocesi di Ferrara-Comacchio, 22 pratiche in mano e solo 3 avviate.
La chiusura-appello affidata allo stesso don Zanella: “Continuate a dire che siamo terremotati. Non è vero che la ricostruzione è finita. Abbiamo ancora bisogno di attenzione”.
“Dopo 4 anni in Emilia c’è ancora tanto disagio, profonda sofferenza, tante questioni irrisolte, come dimostrano queste storie – dicono Manvuller e Badiini -. Le scosse non sono il passato, girando per il cratere il segno di quelle ferite è ancora vivo, visibile e profondo. Purtroppo però i riflettori si sono spenti e tanti sos rischiano di rimanere soffocati dal silenzio se la politica non si farà carico di riaprire il capitolo sisma Emilia. Ecco il senso del nostro lavoro: portare oltre l’Emilia e all’attenzione delle istituzioni le testimonianze dirette di una terra che chiede considerazione, giustizia, rispetto e aiuto”.

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