Gli effetti del Jobs Act sul mercato del lavoro piacentino, la disoccupazione che tra chi ha 24-35 anni sale invece di scendere con gli incentivi messi in campo dal Governo. Dai ricercatori che l'hanno stilata, viene definita una sorta di “cassetta degli attrezzi” utile per “interpretare la fase economica e sociale che il territorio piacentino” sta vivendo. Ma soprattutto utile “per predisporre strumenti che invertano la tendenza”. Sono dati per certi versi eclatanti quelli che emergono dal “Settimo Osservatorio sull'economia e sul lavoro in provincia di Piacenza” che l'Istituto di ricerche economiche e sociali – IRES Emilia-Romagna ha redatto, come ogni anni, per conto della Cgil di Piacenza. La ricerca (88 pagine, a cura di Marco Marrone) è stata presentata oggi, mercoledì 20 aprile nella sala Guido Rossa della Camera del Lavoro in via XXIV Maggio.
“Negli anni, l'osservatorio non solo è stato capace di raccogliere e sistematizzare le principali fonti informative declinate territorialmente – ha spiegato Gianluca Zilocchi, segretario Cgil Piacenza – ma ha saputo proporre dei propri indicatori di natura economica e sociale, determinando volutamente una rottura con i tradizionali indicatori non più capaci di leggere le trasformazioni del territorio prima, e del lavoro poi”.
A spiccare, prima di tutto, l’andamento demografico di Piacenza, con una crescita dei flussi in uscita del 4% verso l'estero (-2.3% verso l'Italia). Con una popolazione nel 2015 di 288mila e 620 persone, calata dello 0.1%. Piacenza si conferma poi come Comune più vecchio di tutta la Regione, con i giovani che preferiscono andarsene, mentre chi rimane fa fatica a lavorare.
Per quanto riguarda la “ripresa”, sembra ancora lontana e, anzi, sarebbe più corretto definirla “stabilizzazione”. Un movimento c'è comunque stato nel 2015, in particolare per fatturato e produzione. Persino le costruzioni sono migliorare, con un accenno di salita che però non ha conosciuto una conferma a fine anno. Il commercio, invece, riesce a chiudere con i dati positivi di inizio anno.
Le esportazioni sono cresciute del 6% e anche le importazioni (+12%). I settori trainanti sono: industria alimentare, informatica (+40%), oltre a macchinari, elettrodomestici, pelle e legno. Scendono abbigliamento, farmaceutica, metallurgia.
Le notizie positive, però, si fermano qui. Perché per il resto, diminuiscono le imprese (-0.8%) nella manifattura e nell’industria, mentre cresce sempre il settore dei servizi.
Le imprese non artigiane vanno meglio di quelle artigiane. Crescono poi le società di Capitale.
Il tasso di disoccupazione è in calo ma va tenuto conto che misura le persone alla ricerca di occupazione, mentre cresce il tasso di inattività. Quindi non si traduce in nuova occupazione – soprattutto tra 25 e 30 anni – e per la fascia tra i 45 e i 50 anni cala il tasso di attività (nel cercare lavoro).
Un dato è certo: rispetto allo scorso anno, a Piacenza e provincia, si sono registrati 600 lavoratori in meno. Si tratta quindi, per cause tra le più varie, di posti di lavoro persi.
La cassa integrazione straordinaria è arrivata a livelli bassissimi. Tanto che i lavoratori coinvolti, se prima erano tra 4mila e 15.700 ora sono tra 1.400 e 5.600.
L’effetto Jobs Act: il tempo determinato è sempre il contratto più diffuso. Quindi la riforma del mercato non ha portato nuovi posti ma nuove trasformazioni. Cresce del 60% il tempo indeterminato, che non assorbe il determinato ma i contratti a progetto e gli apprendistati. In più salgono del 44% le trasformazioni dei contratti a tempo indeterminato (a tutele crescenti) e non tra i giovani ma tra i 50-54 anni, quindi coloro che avevano contratti a temo indeterminato come regolato prima del Jobs Act, per cui ora con meno stabilità.
Viene rilevato anche un vero e proprio boom dei voucher. La crescita a livello nazionale è del 66% dal 2014, in Emilia Romagna sono stati circa 14milioni (63%) al terzo posto dopo Lombardia e Veneto. Piacenza è comunque la meno colpita con 430mila voucher venduti nel 2014.
L’occupazione femminile rispetto agli uomini è sempre ferma, mentre quella maschile cresce dello 0.5%.
Particolare il dato sui flussi di immigrazione: crescono, per esempio, del 4% le comunità romena e ucraina, mentre scendono altre nazionalità e questo denota un incremento di lavoratori o lavoratrici impiegate nei servizi.
Numeri e slide dell'Osservatorio sono consultabili in allegato.