“Le donne rappresentano una forza motivazionale per un’azione nel mondo potente ed incisiva”, scriveva Virginia Woolf nel libro A Room of One’s Own. Una figura energica e dinamica nella società attuale nella quale il ruolo della donna è determinante e insostituibile. Così come quello delle donne della Polizia di Stato, una presenza inizialmente discreta, che si è arricchita negli anni e che è divenuta una componente fondamentale dell’Istituzione.
La Polizia di Stato è stata la prima forza dell’ordine a arricchirsi di un “Corpo femminile”, (sancito dalla legge 1083 del 7 dicembre 1959, ma le prime hanno indossato la divisa nel 1960) dedicato alla violenza sui minori e di genere. Dopo 56 anni di polizia al femminile, e a 35 anni dalla riforma della legge 121 del 1° aprile 1981, che ha permesso pari opportunità di carriera, specializzazione e trattamento economico alle donne, Poliziamoderna attraverso numeri e dati ne presenta una fotografia di gruppo che ne ricostruisce l’evoluzione della loro figura nella Polizia di Stato.
Una presenza sempre più incisiva
La fase di inserimento in un mondo considerato per tradizione maschile è stata lunga e articolata ma ha fornito, come vedremo attraverso i dati, un’opportunità d’impiego per le donne sempre in crescendo, se consideriamo che in 10 anni (da 14763 unità nel 2005 a 15472 nel 2015) la percentuale delle donne in divisa è cresciuta dell’1,8% sul totale degli appartenenti, fino ad avere nel 2015, per ogni 100 operatori, 15 rappresentanti del gentil sesso, a fronte delle 13 nel 2005. Dati e percentuali significative che rispecchiano il desiderio sempre più forte per le ragazze di avere un distintivo, nonostante la normativa in vigore fino ad oggi, per l’accesso ai ruoli iniziali, prevede la copertura dei posti messi a concorso, riservata ai volontari delle forze armate, limitando l’arruolamento delle donne che provengono dall’esterno.
Speciali e specializzate
Un universo vastissimo, quello delle signore del distintivo, che si è fatto largo anche in realtà operative particolari, come quelle delle Squadre mobili, soprattutto nella Sezione minori, dove per predisposizione e sensibilità lavorano con maggior empatia accanto a bambini contesi da genitori, vittime di abusi, provenienti da famiglie disagiate o piccoli autori di reati. L’ispettore Carmela Serrone ha dedicato uno spazio colorato e accogliente all’interno del commissariato di Scampia, a Napoli, per i bambini dall’infanzia difficile. Prima che poliziotte sono spesso angeli custodi, punti di riferimento per le vittime di violenza, come Patrizia Peroni, che è a capo della Mobile di Ascoli Piceno, esperta di reati contro donne e minori. Sono crollati anche quelli che erano considerati templi e baluardi prettamente maschili: sono 5 le signore operative del XIV Reparto mobile di Senigallia che escono, al pari dei colleghi, in ordine pubblico; mentre al Nocs, il Nucleo operativo centrale di sicurezza, tra le teste di cuoio ci sono un vice comandante donna e una superpoliziotta. A disinnescare ordigni esplosivi sono solo 6 donne in tutta Italia con la stessa abilità e freddezza dei colleghi uomini. Numerose (62 i piloti rosa dei Reparti volo) anche le esperte alla guida degli aerei bimotori Vulcanair P68 e Piaggio P180 e le plurispecializzate elicotteriste al comando degli Agusta-Bell AB 206 e 212, AgustaWestland AW109. Solo al Sud se ne contano 4, di cui 2 al Servizio aereo di Palermo: Valeria Cangelosi al comando e Nadia Pedrazzi, che dirige la sezione dei tecnici e dei meccanici. A difenderci dalle insidie della Rete sono molte le detective al computer tra le 309 signore in forza alla Polizia Postale impegnate nel contrasto ai reati on line, come Elvira D’Amato che da anni dirige con successo il Cncpo, il centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia on line, e l’agente Marilena Campioni, del Compartimento di Bologna che grazie alla sua competenza investigativa fa parte della Violent Crimes against children, una task force istituita dal Fbi, che combatte contro i crimini nei confronti dei minori. Ed è sempre una donna il vice questore aggiunto Barbara Strappato, a guidare la sezione di investigazione sul cyberterrorismo di recente costituzione.
Anche nello Sport la Polizia di Stato ha dato la possibilità a sempre più giovani ragazze (sono più che triplicate in dieci anni: da 36 nel 2005 a 109 nel 2015) di poter praticare discipline ad altissimo livello: sono due donne le fiorettiste delle Fiamme oro, la campionessa mondiale Elisa di Francisca e Valentina Vezzali che ha vinto da sola tantissime medaglie d’oro in tutta la storia delle Olimpiadi. È rosa anche la squadra di sincronette cremisi ed è giovanissima l’atleta del tiro a volo Jessica Rossi. Per la prima volta sul ring delle Fiamme oro, due giovanissime: Angela Carini, 17 anni, che proviene da un territorio “difficile” come quello di Marcianise, tesserata del settore giovanile delle Fiamme oro, medaglia d’oro ai Campionati mondiali femminili youth di pugilato, e la ventitreenne Alessia Mesiano, bronzo mondiale nel 2014, promessa della boxe internazionale. Tra gli 83 orchestrali della Banda Musicale della Polizia 8 sono le donne che hanno avuto la possibilità di coltivare il loro sogno: quello di poter fare della musica una vera professione e di esportare questa eccellenza in tutto il mondo con il vessillo dell’Istituzione. Da artificiere antisabotaggio a operatore delle Volanti, da conduttore cinofilo a tiratore scelto: non c’è specializzazione che riesca a fermare l’avanzata del gentil sesso. Al Cnes di La Spezia Barbara Marinesi è la sola muta “in rosa” tra 34 sommozzatori che sfidano ogni giorno il mare (mentre andiamo in stampa giunge la tragica notizia della scomparsa del sub Rosario Sanarico). E se quasi il 20% delle donne in divisa è in servizio nelle 4 specialità (stradale, ferroviaria, postale e frontiera), di queste 38 su 100 scelgono di pattugliare strade e autostrade indossando stivali e pantaloni dalla doppia riga cremisi.
Non solo operative: ecco le professioniste coi fiocchi
Un organico corposo anche quello delle signore impegnate in attività tecnico-scientifiche di elevata specializzazione. All’interno del ruolo dei tecnici la quota femminile sale al 35 %: ingegneri, fisici, chimici, biologi, psicologi, analisti di sistemi e di procedure, meccanici di aeromobili, tecnici informatici, e molti altri, che sono competenti e preparate al pari dei colleghi uomini. Sotto il camice porta la gonna più del 40% dei medici del Servizio sanitario dell’Amministrazione, che talvolta svolgono anche compiti delicati, come l’assistenza sanitaria dei cittadini immigrati clandestini nelle operazioni di rimpatrio.
Scalando la carriera
Salta subito agli occhi che dal 2005 c’è stata una grande evoluzione nei quadri apicali. Le donne, grazie alla loro tenacia, continuano a scalare la vetta dei ruoli dirigenziali e direttivi: in 10 anni i primi sono quintuplicati, (da 50 a 253), mentre i funzionari sono aumentati del 4,9% (da 873 a 915) anche grazie alla presenza di numerose giovani donne allieve commissari. In effetti la Polizia di Stato rimane un’occasione di impiego molto ambita e che permette di avanzare professionalmente negli anni, fino a ricoprire incarichi e ruoli di grande responsabilità, grazie all’elevata competenza di chi sceglie di continuare il percorso lavorativo con passione e sacrificio. Non è un caso che in 4 città vi siano dei questori in gonna: Gabriella Ioppolo a Lecco, Loretta Bignardi a Lodi, Ivana Petricca a Pavia e a Reggio Emilia c’è Isabella Fusiello. E al comando dell’Ispettorato Vaticano, ufficio nevralgico per la macchina della sicurezza del Giubileo, troviamo l’unica donna tra i dirigenti generali, Maria Rosaria Maiorino, 37 anni spesi nella Polizia di Stato (vedi intervista Poliziamoderna n. 11/2015 pagg. 22-24).
Più studiose e più formate
L’alto livello di scolarizzazione si riscontra anche con l’ingresso nella vita lavorativa, che avviene più tardi per le poliziotte (nella fascia d’età dai 18 ai 30 anni sono appena 818 contro 7.014 uomini nel 2015; mentre nel 2005 erano più di mille le appartenenti contro 13.462 uomini), rispetto al numero dei colleghi. Fino a dieci anni fa, infatti, gli uomini potevano accedere nei ruoli dell’Amministrazione già a 18 anni con il servizio di leva e successivamente a 17 per il servizio in ferma prefissata. Cifre alla mano le donne si confermano più concentrate anche negli studi: sono laureate (diplomi universitari, lauree brevi e lauree), 23 donne su 100, rispetto agli uomini che sono meno della metà, 10 su 100. I dati naturalmente si riferiscono al personale che ha dichiarato sul “foglio matricolare”, una sorta di documento personale che accompagna la carriera di ogni dipendente, i propri titoli di studio. L’evoluzione e la progressione nei titoli accademici oltre la laurea (specializzazioni, dottorati e altri titoli post lauream: 2,53% delle colleghe contro lo 0.8% dei poliziotti) ribadiscono il fatto che le signore del distintivo investono di più sulla formazione, cogliendo al volo l’opportunità di migliorare la loro preparazione di base.
Senza rinunciare alla famiglia e alla maternità
Impegno e perseveranza però non richiedono automaticamente di rinunciare alla vita privata. Le poliziotte riescono anche a realizzare una famiglia, nonostante i pesanti turni e gli improvvisi fuori sede. La Polizia “in rosa” conta una generazione di 12.651 figli, quasi un figlio a testa al pari dei loro colleghi uomini (0,81 per le donne e 0,92 per gli uomini). Tradotto in soldoni, poliziotti e poliziotte hanno la stessa possibilità di maternità e paternità. E non è poco, se consideriamo l’indice di natalità in Italia che nel 2015 è stato tra i più bassi della storia. Un mestiere faticoso quello delle “pantere rosa” ma non inconciliabile con pannolini e biberon.
Regioni a quote rosa
Le poliziotte sono una realtà diversamente consolidata in ogni parte d’Italia anche se è ilCentro ad assorbire la più alta componente femminile, il 37,2% del totale di tutto lo Stivale. Percentuale anche dovuta alla concentrazione degli uffici del Dipartimento di ps a Roma. Verificando i dati e scendendo nei dettagli, il podio “rosa” spetta all’Abruzzo, dove la forza lavoro femminile tocca punte del 21,2%. Fanalino di coda rimane la Valle d’Aosta, con appena l’8,4% delle signore col distintivo, nonostante sui rapporti Istat la popolazione femminile sia in proporzione maggiore, rispetto a quella maschile. La minor presenza risiede nelle Isole con nemmeno il 12% della forza femminile. La loro presenza sempre più incisiva su tutto il territorio ci ha permesso di incontrare in tutte la Penisola le poliziotte che hanno raccontato a Poliziamoderna le loro storie.
Francesca Di Bari: il coraggio ha 4 zampe
Occhi verdi, voce suadente e una personalità solare quella dell’assistente capo Francesca Di Bari, una delle due donne, conduttori cinofili, della questura di Bari. Ha cominciato a lavorare con i cani nel 2006 a 33 anni. La sua prima esperienza da poliziotta l’ha fatta alla Polfer di Bologna: «Ho sempre avuto la passione e il rispetto per la divisa. Mio padre era nelle forze armate. Arrivata al Compartimento ho imparato molto a livello operativo». Con Bax , il suo primo labrador antiesplosivo, però è stato amore a prima vista. Dopo solo 4 anni di servizio sempre accanto a Francesca, è andato “in pensione” per problemi comportamentali. «Scaricava lo stress autolesionandosi la coda e appena ha smesso la sua attività ho deciso di portarlo a casa. Bax ora ha 11 anni, sta bene e vive con me». Le hanno affidato subito Noah, un labrador maschio color miele che con Francesca forma un binomio inscindibile. «Questa razza canina ha, a livello neurologico, la particolare capacità di memorizzare numerose gamme odorose di esplosivo», spiega Di Bari. «Con i colleghi uomini – prosegue – non ho avuto difficoltà ad inserirmi ed ho lavorato in sinergia con loro. Senza contare che nell’addestramento – sdrammatizza Francesca – ho a che fare con “l’uomo caldo”, un collega abilitato a maneggiare gli esplosivi che se fossero toccati da noi conduttori potrebbero influenzare l’addestramento e di conseguenza l’operatività del cane». Lei è convinta che ciò che distingue le donne sia «la sensibilità innata nel gestire situazioni delicate dal punto di vista psicologico, come la tensione, e il pregio di saper mantenere la calma soprattutto con l’animale. Il cane – spiega la Di Bari – avverte subito il nervosismo e l’adrenalina, fattori inevitabili in situazioni di emergenza e stress che confondono l’animale, pregiudicando l’esito dell’operazione». Il coraggio, poi, non le manca davvero. Lavorare in una piazza critica a livello di criminalità come quella di Bari e di altre città del Sud, dove spesso svolge servizio di polizia giudiziaria, affiancando i colleghi delle Squadre mobili è un rischio che tutti i giorni deve correre. Come l’operazione che ha portato al sequestro di un immenso arsenale di armi e munizioni a Cerignola, nel Foggiano, alla quale Francesca con Noah ha dato il suo contributo insieme ai colleghi di altri Reparti. Sposata da poco, Francesca non ha ancora figli ma, libera dal servizio, l’aspettano i bambini dell’Associazione onlus “Abbraccia un sorriso”, di Orta Nova, in provincia di Foggia, che la poliziotta, insieme ai suoi colleghi, intrattiene affettuosamente raccontando loro il lavoro dei cinofili e l’impegno di Noah. E quelli dell’ I.C. Zingarelli-Anna Frank di Bari che, prima delle feste natalizie, hanno ascoltato i suoi consigli e quelli degli Artificieri, per evitare i pericoli legati ai “botti” di Capodanno.
Valentina Pistillo
Vincenza Liviero: ragione e sentimento sulla scena del crimine
Oltre 25 anni di esperienza, Vincenza Liviero, classe 1962, medico capo è tra le prime donne che svolgono questa professione ad entrare nella scena del crimine insieme alla squadra sopralluoghi. Oggi lavora al Servizio polizia scientifica e il suo nome è legato alle indagini su tanti casi saliti alla ribalta delle cronache: Ilaria Alpi, Marta Russo, Meredith Kercher, solo per citarne alcuni, anche se, come tiene a sottolineare «vorrei che a tutti venga data la stessa importanza, per me ogni singolo caso ne ha». Un lavoro senza orari e con qualche rinuncia nella vita privata, che solo una grande passione può sostenere, perché alla vocazione del medico unisce la motivazione del poliziotto, la volontà di assicurare i colpevoli alla giustizia. «Si procede dal generale al particolare per poter avanzare ipotesi ricostruttive di un omicidio – spiega parlando del suo incarico – Non credo nelle autopsie virtuali, il parere del medico legale è ancora determinante per fornire dettagli preziosi alle indagini, per stabilire l’ora di un decesso e le modalità utilizzate nel commettere un delitto. In questa professione si cerca sempre di mantenere l’emotività ai minimi termini, un approccio che può risultare difficile per tutti, uomini e donne, soprattutto quando sono i bambini a essere le vittime di un crimine». A inizio carriera l’ambiente lavorativo era prettamente maschile e Vincenza non nega di aver riscontrato qualche iniziale scetticismo tra i colleghi più anziani, ma il carattere tenace e il bagaglio culturale sono state le armi che le hanno permesso di procedere con successo: «Nelle dinamiche tra colleghi la cosa più importante è la preparazione – ha commentato la specialista – la base scientifica è infatti il principale presupposto di quest’attività». Come nel caso dello tsunami del 2004 in Thailandia, dove si è recata per oltre un mese e ha diretto il team medico italiano per il riconoscimento delle vittime: «Un’esperienza senza precedenti da un punto di vista professionale – conclude – che grazie al confronto con squadre analoghe provenienti da ogni parte del mondo, mi ha lasciato un notevole arricchimento tecnico». E la grande passione per il suo lavoro ha varcato anche la soglia del piccolo schermo, Vincenza è infatti la musa ispiratrice della fiction, trasmessa su Canale 5 “Valeria, medico legale”: anche in questo campo le consulenze della professionista hanno sortito il loro effetto positivo.
Cristina Di Lucente
Barbara Marinesi: in mare con grinta e determinazione
Era insegnante di educazione fisica ma si è arruolata in polizia per coltivare il suo sogno: quello di far parte dei sommozzatori del Cnes di La Spezia. Dall’intervista, Barbara Marinesi, cinquantenne, assistente capo, fa trasparire tutto la sua determinazione quando racconta i suoi difficili esordi: «Al centro nautico il comandante mi aveva risposto che per una donna non c’erano chance all’interno di un organico prettamente maschile. Ho ribussato alla porta dopo qualche mese e nel 1995 ero l’unica donna al Varignano accanto al Com.sub.in., il Comando subacquei e incursori della Marina militare. Erano convinti che fosse un corso per superuomini, ma ho dato filo da torcere a tutti, perché sono una persona anche molto pratica e concreta». Una donna piena di grinta, Barbara, che a Poliziamoderna racconta quali prove ha dovuto affrontare per superare le selezioni. «Ogni giorno i test aumentavano sempre per difficoltà: il corso di nuoto pinnato da 2 km era diventato di 4 Km, poi dovevo fare 12 km di corsa, percorsi in apnea, discese in mare di notte senza torcia e senza guanti, lancio dal comignolo di una nave e molto altro, ma ho brillantemente superato tutte le prove, arrivando prima di tanti uomini». Sorride quando rivela che: «per integrarmi nel gruppo dei colleghi nelle “notturne” portavo le torte della mia mamma che sono squisite e nessuno sapeva resistere». Si è dovuta adattare anche con l’attrezzatura:«La muta era sagomata per gli uomini e dato che non mi aderiva, nei mesi invernali le correnti freddissime attraversavano e scuotevano il mio corpo», racconta. Ma Barbara ha energia da vendere e dopo aver superato tutte le selezioni, al Cnes completa il suo percorso professionale, conseguendo ogni specializzazione: «Avevo la sindrome “da album delle figurine” – ride la Marinesi – e ho preso tutti i brevetti come quello di fotografo subacqueo, manovratore di camera iperbarica, etc..». Certo, il suo è un lavoro che ha una dimensione particolare ed è pesante anche fisicamente ma: «se hai la capacità di gestire razionalmente le situazioni, come sanno fare le donne – commenta la Marinesi – allora ne salti fuori. Entrare nei sommozzatori mi ha dato la possibilità di esprimere la mia personalità e mi ha tirato fuori quelle paure e quei limiti che ogni donna non sa di avere». Lavorando dalla mattina alla sera con uomini «mi son guardata bene dal prendermene uno per sempre», scherza l’unica donna sub della Polizia di Stato, sottolineando anche che nel tempo libero si scatena perché:: «i 34 colleghi del Cnes mi “pressurizzano” – ironizza, usando un termine tecnico proprio del suo mestiere – e prima di tornare al lavoro, mi sfogo dedicandomi ai miei hobby, come il giardinaggio e così sono pronta per il giorno dopo».
Valentina Pistillo
Alessia Mesiano: la classe sul ring
Guardando il suo profilo su Facebook a prima vista sembrerebbe quello di una normalissima ragazza di 24 anni, che studia all’università e fa tutto quello che normalmente farebbe una persona della sua età. Ma andando a sbirciare un po’ tra le fotografie, ecco la sorpresa: un ring, un paio di guantoni e la stessa ragazza di prima che si trasforma in una campionessa di boxe. Lei è Alessia Mesiano, classe 1991, boxeuse del Gruppo sportivo Fiamme oro, bronzo mondiale nel 2014, vincitrice del “Guanto d’oro d’Italia” nel 2015 e attualmente in cerca della qualificazione ai Giochi olimpici di Rio 2016. Certo, non uno sport proprio femminile, verrebbe da pensare, ma lei subito ci tiene a precisare: «Più che uno sport maschile, direi che non è uno sport per tutti, indipendentemente dal sesso. Con i pugili con cui mi alleno c’è sempre rispetto reciproco anche perché negli allenamenti ho sempre dato tanto e spesso anche più dei ragazzi; già da subito mi hanno rispettata come atleta. È una disciplina molto dura non solo dal punto di vista fisico, ma soprattutto sotto l’aspetto mentale, anche se a prima vista non sembrerebbe». «Alla boxe – continua Alessia – mi sono avvicinata per curiosità, spinta dal consiglio di un amico pugile. A casa inizialmente erano molto contrari perché preoccupati, successivamente vedendo i miei successi si sono ricreduti e adesso i miei parenti sono i miei primi tifosi». Sono tanti i sacrifici che Alessia, come tutti gli sportivi di alto livello, ha dovuto e deve affrontare anche per dimostrare che uno sport che nell’immaginario collettivo è fortemente virile, possa essere praticato anche da una ragazza: «I sacrifici penso siano parte di ogni sport a livello agonistico, ma per praticare il pugilato soprattutto bisogna avere una forte volontà mentale, anche perché la vita di una ragazza cambia notevolmente: lo stare lontano da casa e dai propri amici, i rientri a casa presto, le rinunce ai piaceri della tavola e anche una grande concentrazione mentale. Anche se sembra una disciplina prettamente fisica, la boxe è tutt’altro perché la mente ha un’importanza fondamentale per la prestazione». Donna, sportiva, ma anche e soprattutto poliziotta con la divisa cremisi del Gruppo sportivo della Polizia di Stato al quale Alessia deve molto e del quale è orgogliosa di portarne i colori in giro per il mondo: «È un orgoglio portare la divisa della polizia, un sogno che si è avverato perché sono riuscita a unire la mia passione con la sicurezza di un lavoro. Spero di riuscirne a onorare i colori al meglio oggi e nel futuro» …e il riferimento alle prossime Olimpiadi brasiliane non è puramente casuale.
Cristiano Morabito
Nadia Predazzi: gioco di squadra in volo
La voce sicura, la risata brillante. Raggiunta al telefono Nadia Pedrazzi, direttore tecnico principale presso il Reparto volo di Palermo racconta volentieri la sua esperienza nella Polizia di Stato, iniziata nel ‘99: «Sono entrata all’inizio come agente prima di vincere il concorso da funzionario e questo mi ha permesso di fare molte esperienze. Anche il rapporto con i colleghi e con i collaboratori uomini l’ho vissuto da punti di vista diversi. Comunque essendomi laureata in ingegneria dove l’ambiente era prettamente maschile la polizia a confronto mi è sembrata molto più varia essendovi già delle donne. Qui al Reparto volo di Palermo – continua Nadia Pedrazzi – siamo solo tre donne, e tutte e tre al comando. L’atteggiamento degli uomini con cui lavoro è di massimo sostegno e credo che questo sia anche il risultato della tenacia e dell’autorevolezza. Sono convinta che in polizia ci sia molto rispetto per le donne – osserva – forse la generazione entrata precedentemente ha avuto difficoltà a integrarsi, ma poi il numero di noi donne è cresciuto, siamo diventate tante e si sa l’unione fa la forza». Con un compagno, con la passione per i viaggi, per il nuoto e per la sua “bella moto”, Nadia riesce a conciliare benissimo lavoro e affetti e hobby. Il lavoro al reparto offre sicuramente una prospettiva diversa rispetto a quello svolto su una volante: «Collaborare con i colleghi che stanno a terra è sicuramente una esperienza particolare – spiega Nadia – la realtà cambia molto dall’alto». Tanti i servizi fatti e le esperienze durante il percorso professionale. La più toccante tra tutte quella fatta a Lampedusa quando era in servizio alla Scientifica: «Ho visto tanta umanità nei miei colleghi nonostante i turni fossero massacranti per i continui sbarchi. È importante in situazioni di pericolo avere i colleghi vicini, ci si sente confortati. Il lavoro di squadra sorregge, da conforto». E questo è importante anche nel Reparto volo. Proprio perché è fondamentale operare in sicurezza e quindi fare attenzione e valutare insieme agli altri ogni minuzia. «La polizia per me è una grande famiglia – osserva Nadia – e offre la possibilità di potersi esprimere dal punto di vista professionale in situazioni completamente diverse. La nostra presenza come donne penso abbia dato visibilità alla polizia con i cittadini. Credo che la nostra presenza oggi sia indispendabile soprattutto in alcuni settori di intervento come la violenza sulle donne o sui minori. Oggi qualcuno dice che siamo troppe e se così è non va bene, anche perché i nostri compiti istituzionali sono anche di “forza” a volte. E in questi casi l’uomo è sicuramente più adatto».
Antonella Fabiani
Elisa Ruscillo: artificiere con freddezza e lucidità
Le efelidi accennate su un viso angelico ingannano: sotto quell’aspetto delicato, la quarantenne Elisa Ruscillo, assistente capo della questura di Trieste, del Nucleo artificieri antisabotaggio – IEDD (Improvised explosive device desposal , cioè ordigni improvvisati artigianalmente), cela un carattere risoluto e una tempra forte. «È da dieci anni che lavoro con gli esplosivi, campo pericoloso e impegnativo, una volta riservato agli uomini. Alla scuola militare del Genio di Roma ero l’unica donna a fare il primo corso di specializzazione in mezzo a 40 uomini. E lo sono anche qui a Trieste nella mia squadra». Quando non c’è un allarme bomba, Elisa, insieme ai colleghi, si allena in palestra perché, sostiene «oltre a freddezza e lucidità per fare l’artificiere occorre anche prontezza e un’ottima forma fisica». Tra un esercizio ginnico e un’emergenza di servizio lei e la sua squadra controllano i materiali e le sofisticate attrezzature e si preparano per una simulazione con ordigni esplosivi di tipo artigianale. È orgogliosa del suo lavoro anche quando va tra i banchi di scuola per spiegare ai ragazzi come evitare i rischi che si corrono maneggiando materiale pirotecnico. Ma anche quando riceve, insieme alla sua squadra, compiacimenti e lodi per operazioni svolte con successo o perché si è distinta per realistiche dimostrazioni su temi legati alla sicurezza e alla prevenzione. Tutti gli anni, infatti, partecipa al “Rescue day”, la manifestazione a Cividale del Friuli, dedicata a tutti i soccorritori della forze di polizia, dei Vigili del Fuoco, della Protezione Civile e della Croce Rossa. Ha sempre l’adrenalina a mille, ma appena è libera dal servizio corre da Gabriele e Giorgia, i suoi due figli di 8 anni e 3 anni, che non «mi mollano neanche per un minuto», ricordandole che oltre ad essere una poliziotta è anche una mamma molto presente e premurosa. In squadra sono cinque e quando si muovono per interventi sul territorio anche in ambito regionale, guidano tutti indistintamente i mezzi a disposizione: dal Ducato che trasporta il “Pedsco” (il robottino remotizzato, dotato di telecamere e cannoncini che sparano un getto d’acqua ad elevata pressione per neutralizzare l’eventuale ordigno), al Discovery con tutta l’attrezzatura a bordo. Sempre in viaggio Elisa, esperta antisabotaggio, è aggregata a Roma, per essere impiegata nei servizi di ispezione, di bonifica e controllo del territorio, durante l’evento giubilare.
Le “quote rosa” per la Ruscillo sono determinanti nella Polizia di Stato perché «portatrici – sostiene – di una spiccata sensibilità ed equilibrio ma anche di quella praticità e versatilità che permettono di operare al meglio anche in circostanze particolari, come quelle che può presentare anche questo tipo di attività operativa, piuttosto delicata e impegnativa».
Valentina Pistillo
Carmela Serrone: In prima linea per le donne
Ha iniziato a lavorare come poliziotta a 25 anni Carmela Serrone e il suo primo incarico lo ha svolto alla Squadra anticrimine di Palermo. «Era il 2003, ero animata da un forte entusiasmo. In quel periodo però non c’era ancora una grande attenzione per i reati di violenza sulle donne», ricorda l’ispettore capo, oggi in servizio a Scampia e autrice del progetto “La stanza di Alice”, lo spazio protetto che è nato all’interno del commissariato, creato per intrattenere i bambini figli di donne vittime di violenza.
Essere ispettore di polizia, per di più donna (su 70 uomini in servizio presso il commissariato partenopeo sono solo 3 le “quote rosa”), in un’ambiente con un alto tasso di criminalità può risultare problematico, ma Carmela non si è mai arresa di fronte agli ostacoli e lavora con la stessa passione degli esordi. «Inizialmente è stato complicato, c’era diffidenza verso chi trattava questo tipo di reato, soprattutto perché mi sono posta come donna che voleva tutelare le altre donne», racconta l’ispettore capo. Da questo punto di vista il lavoro da fare era enorme, soprattutto sul versante culturale. Cercare il coinvolgimento delle persone fuori dal commissariato e puntare sulla sensibilizzazione, è stata la chiave per ottenere risultati positivi. «Per la gente di Scampia era strano vedere anche solo una donna che seguiva un’ordinanza, ma alla fine si è abituata e nonostante le minacce e i pericoli che a volte hanno accompagnato questo incarico, posso ritenermi soddisfatta». Nel 2013, dopo circa due anni di attività, c’è stato un aumento esponenziale delle denunce da parte delle donne, a riprova che l’opera di coinvolgimento nel quartiere ha sortito i suoi effetti. Due volte mamma, Carmela non avverte nella sua professione una difficoltà maggiore rispetto a quelle che si possono riscontrare in qualsiasi altro lavoro nel cercare di conciliare la vita professionale con la famiglia. «Lo ammetto, alcune situazioni lavorative talvolta ti seguono anche a casa, ma questo è un posto dove i casi “al limite” sono all’ordine del giorno: bisogna essere sempre preparati. Per questo è determinante fare squadra», ha concluso la poliziotta.
Cristina Di Lucente
Elisabetta Mancini: comunicare la sicurezza sulle strade
Dirigente della Sezione polizia stradale di Roma, 48 anni, Elisabetta Mancini è un altro esempio di come ci si possa destreggiare tra una carriera impegnativa e il ruolo di madre: «È stata una scelta consapevole per me entrare in polizia. Quando frequentavo giurisprudenza volevo fare un lavoro ispirato agli ideali di libertà e giustizia. E la polizia rappresentava questo e soprattutto un lavoro a contatto con la gente». La prima destinazione dopo aver vinto il concorso è la Stradale di Firenze, una specialità che fin dall’inizio le ha permesso di entrare in contatto con la vita delle persone e i bisogni dei cittadini: «Ricordo che il lavoro era molto dinamico – racconta il dirigente – erano gli anni delle stragi del sabato sera, del lancio dei sassi dai cavalcavia ed era urgente dare una risposta diversa a questi nuovi fenomeni».
Dopo quattro anni a Firenze prosegue la sua carriera al Cciss , (il Centro di coordinamento informazione sulla sicurezza stradale), poi al Servizio stradale dove si occupa soprattutto di campagne di comunicazione e educazione sulla sicurezza stradale e, poi alla Ferroviaria, ancora a Firenze, dove rimane qualche anno dopo il corso da primo dirigente. Ora, da tre mesi dirige la Sezione polizia stradale di Roma. Riguardando indietro per Elisabetta Mancini il bilancio è positivo, anche riguardo al rapporto con i collaboratori e i colleghi uomini: «Forse all’inizio poteva esserci diffidenza da parte di qualche ispettore entrato quando la polizia era ancora militare, ma devo dire che non c’è mai stato un atteggiamento di non collaborazione. Ma proprio perché questo è un lavoro di relazione la sensibilità femminile sia una qualità importante». Le difficoltà naturalmente non sono mancate: «Non è stato semplice crescere due figli. Però ho trovato la soluzione cercando di coinvolgerli, facendogli conoscere i miei colleghi, e l’ambiente dove lavoravo. Dall’altra parte ho sempre trovato comprensione da parte di chi mi ha diretto, che ho ripagato con la massima disponibilità».
«Non ho mai avuto paura per la mia incolumità fisica – osserva – ma provo un senso di disagio e d’inadeguatezza in determinate situazioni, soprattutto di fronte al dolore delle persone. Dover gestire la sofferenza dei familiari che hanno perso un parente in un incidente stradale non è sempre facile».
Antonella Fabiani
Simona Sibilia: L’angelo custode della Mobile
Rossa, agile e scattante, esce di corsa dall’auto pronta a intervenire al primo segno di pericolo. Non si tratta dell’eroina di una nuova serie poliziesca né di un personaggio a fumetti della Marvel, ma più semplicemente di una normalissima poliziotta come l’assistente Simona Sibilia, in servizio presso la Squadra mobile di Pisa, dove, quando occorre, continua a svolgere il servizio scelto fin dall’inizio della sua carriera: quello di addetta alle scorte. «Entrare in polizia è sempre stato il mio sogno nel cassetto – racconta Simona – quando agli esami di maturità il presidente della commissione mi chiese quali fossero le mie aspirazioni io senza indugi risposi che mi sarebbe piaciuto diventare una poliziotta».
Così il 1° febbraio del 1999, Simona fa il suo ingresso alla scuola di Alessandria. Dopo il giuramento, raggiunge la sua prima destinazione, Genova; qui dai colleghi delle Volanti sente parlare del mitico “corso scorte” ad Abbasanta, in provincia di Oristano. Per lei è un richiamo irresistibile: quando torna a Genova dopo un mese di addestramento, tra tiri al poligono, tecniche di protezione e prove di guida , Simona è pronta per l’ Uufficio scorte della questura ligure. «La prima scorta me la ricordo bene – racconta Simona – a Santa Margherita Ligure c’era il meeting dei giovani industriali e il mio collega, dopo avermi salutato con un “benvenuta pischella”, mi chiese di mettermi al volante. Ero tesa, il servizio non era semplice: si trattava di non perdere mai di vista, in un tratto di strada piena di curve e gallerie, sia le auto staffette che precedevano quella da scortare, sia quelle di copertura. Però quel saluto informale e affettuoso del collega mi aiutò a rompere il ghiaccio, e così, anche grazie ai consigli, tutto filò liscio». E per Simona quel primo, positivo impatto con il mondo delle scorte prettamente maschile si è conservato in tutti questi anni. Certo è un servizio che non conosce orari e che ti costringe a stare fuori di casa per giorni interi, in cui il pericolo è sempre in agguato, soprattutto quando ti trovi a un scortare un “obiettivo sensibile”, un politico ma anche un collaboratore di giustizia. In questi casi l’adrenalina sale alle stelle: è come una sorta di campanello che ti aiuta a tenere alta la guardia, anche perché la posta in gioco può essere la tua vita e quella della persona che ti è stata affidata.
«Per una donna – sottolinea Simona – quello delle scorte è un lavoro che richiede grande disponibilità, non facile da coniugare con gli impegni familiari. Io non mi sono sposata e non ho avuto figli. È andata così…del resto sono entrata in polizia perché mi piaceva fare un lavoro operativo, non mi saprei vedere seduta dietro a una scrivania». Nel frattempo tra un turno e l’altro alla Squadra mobile, continuano i servizi di scorta: quello più recente, al giudice Gian Carlo Caselli, risale a qualche settimana fa. Simona, almeno per ora, non ha alcuna intenzione di smettere i panni dell’”angelo custode”.
Anacleto Flori
Agente Lisa: il virtuale che sa di umanità
«Mi chiamo Agente Lisa, e sono una poliziotta virtuale. Ho gli occhi azzurri, i capelli rossi ed un sorriso rassicurante.
Incontro i cittadini sulla “mia” pagina Facebook e gli racconto, in modo semplice e colloquiale, il lavoro quotidiano delle donne e degli uomini in divisa, mettendone in risalto soprattutto il lato umano. Informo la gente sui pericoli che si possono nascondere navigando in Internet e su come evitare di rimanere vittime di truffe nella vita di tutti i giorni.
In questo lavoro, però, non sono sola. Alle mie spalle ho una piccola redazione di sole donne (in carne ed ossa!) che hanno l’esperienza e la sensibilità giusta per descrivere, attraverso i post che vengono pubblicati, le operazioni di polizia giudiziaria più importanti, eventi, iniziative ma anche storie a lieto fine che scaldano il cuore. Sulla mia bacheca, mi piace anche condividere le notizie pubblicate da altri, come per esempio da “Polizia di Stato”, la pagina ufficiale certificata, dove è possibile trovare informazioni relative al Dipartimento della pubblica sicurezza, nonché foto attuali e storiche che descrivono il nostro lavoro; da Poliziamoderna; da “Una vita da social”la pagina gestita dalla Polizia Postale che dà consigli agli utenti per navigare nella Rete in sicurezza; o le notizie che molte questure pubblicano, per parlare con i cittadini . Anche se diverse, le notizie coinvolgono sempre più persone, come dimostrano i miei follower che sono in continuo aumento. Siamo infatti diventati una comunità di oltre 315.000 persone, con un’età compresa tra i 35 e i 44 anni, ma la pagina piace anche agli ultrasessantacinquenni. La più alta concentrazione di fan vive a Roma, ma gli amici dell’Agente Lisa si trovano anche in Europa, in America, fino all’Australia. Insomma, siamo una famiglia un po’ allargata, perché “Esserci sempre” per noi non è uno slogan vuoto ma un modo di interpretare il nostro lavoro, anche con la tastiera».
Sara Scola