Un abisso di aggressioni e minacce, alle quali le insegnanti non hanno saputo o voluto porre un freno, lo hanno portato a non voler più andare a scuola: “Voglio rimanere a casa, preferisco morire piuttosto che tornare in classe”. E’ solo l'ultima reazione di uno studente piacentino, che da qualche tempo subirebbe bullismo da parte di alcuni coetanei, che hanno portato i genitori a denunciare la situazione, sia alle forze dell’ordine che attraverso la nostra testata, Radio Sound/Piacenza24.
Numerosi gli episodi, raccontati con disperazione ma altrettanto coraggio, dal padre e la madre del bambino, che frequenta l’ultimo anno in una scuola elementare cittadina. “Non siamo gli unici a vivere un calvario del genere e, anche se non è facile, abbiamo deciso di raccontare. Speriamo che altri facciano altrettanto”, hanno spiegato con la morte nel cuore.
Lo chiameremo Paolo, nome di fantasia. E per dare un ordine agli eventi e farli emergere in tutta la loro raggelante ferocia è necessario andare per gradi. “Abbiamo scoperto quello che nostro figlio subiva dopo un tema a scuola”, questa la premessa. “Ha scritto che dei suoi compagni lo hanno immobilizzato, nel giardino dell’istituto, e hanno cercato di bloccargli le vene dei polsi per farlo svenire. ‘Non ti azzardare a dire niente alle maestre’, gli hanno intimato”. E’ solo l’inizio: “I casi sono numerosi. Spesso è tornato a casa con lividi molto strani, al bacino o alla schiena, segno che non si trattava delle solite sbucciature dopo aver giocato. Senza contare gli occhiali rotti, dopo essere stato gettato a terra da un compagno più robusto”.
A quanto dicono i genitori, infatti, le aggressioni sarebbero sistematiche e molto pesanti: “Un’altra volta, quella forse più grave, Sempre gli stessi compagni, hanno cercato di inserirgli dei pennarelli nel fondoschiena. Lui si è ribellato brandendo un righello e, mentre uno cercava di strozzarlo, questo si è rotto. Ma all’arrivo delle maestre, hanno deciso di punire solo nostro figlio, cioè la vittima, per il righello rotto. Perché, ascoltando le testimonianze degli altri alunni, tutti si erano coalizzati per dare la colpa a lui”.
La legge del “branco”, insomma, spietata e priva di empatia. E’ a seguito di storie del genere, che il piccolo ha iniziato a raccontare a casa, che i genitori si sono attivati. Prima hanno chiesto spiegazioni alle insegnanti, che pare abbiano minimizzato, e in seguito alla preside. Sforzi che, non solo non hanno portato a nulla ma che, anzi, sembrano aver fatto emergere una realtà sconsolante: “Non avete pensato di cambiare scuola?”, gli avrebbe domandato la responsabile dell’istituto, senza dar loro altre rassicurazioni o alternative. “Ci abbiamo pensato – hanno ammesso – ma paradossalmente, quando abbiamo fatto richiesta, si sono rifiutati di accoglierla”.
E’ a questo punto che genitori di Paolo hanno deciso di sporgere denuncia. E si sono rivolti alla Polizia Municipale, nel dicembre del 2015: “Sono stati molto gentili e precisi nel raccogliere le nostre istanze, ma per ora non sappiamo se abbiamo avviato accertamenti”.
Intanto in classe – e nonostante le maestre fossero informate degli episodi di bullismo -, non sembra che la situazione sia cambiata. “Un giorno gli hanno scritto gli insulti sulla lavagna e poi hanno pulito il gesso con la giacca di Paolo. Oppure, durante l’ora di ginnastica, non solo lo hanno isolato e non ci hanno ma non sono intervenute mentre i compagni lo insultavano con vari epiteti, come ‘handicappato’, tra gli altri, mentre un altro giorno non ci hanno avvisato che lamentava di non sentirsi bene e, una volta a casa, aveva 38 di febbre”.
Non è finita, perché nei giorni seguenti il “leader” del gruppo lo avrebbe preso a brutto muso: “Se ti picchio cosa fai?”. E alla risposta di Paolo: “Chiamo la polizia”, il “bulletto” lo avrebbe di nuovo aggredito, spalleggiato da altri “scagnozzi”. Ma è all’arrivo delle maestre che, ancora una volta, qualcosa non torna agli stessi genitori: “Invece di punire il responsabile, hanno fatto scrivere una nota a tutta la classe che recitava: ‘Abbiamo sbagliato tutti’ e così hanno messo a tacere la circostanza”. Ricostruzioni che, però, le insegnanti hanno sempre negato ai genitori: “Dicono che va tutto bene, che hanno la classe sotto controllo. Intanto nostro figlio viene a casa con dei lividi, racconta gli episodi con chiarezza e, dopo esserci affidati a uno psicologo, abbiamo accertato che non sta mentendo”.
Una condizione di disagio che ha quindi portato Paolo, prima studente modello e descritto da molti come il primo della classe, a rifiutare di tornare a scuola: “Preferisco morire”, ci dice. E se prima cercava di inventare scuse, ora è diventato quasi aggressivo, e oppone una resistenza fisica quando è ora di andare in classe. Lasciamo immaginare cosa possa provare un genitore nel vivere circostanze simili”.
Un racconto straziante, quello del papà e la mamma del piccolo, che hanno deciso di rompere il muro di omertà che spesso si forma intorno a certe vicende. Perché, hanno aggiunto, “vorremmo sfatare anche alcuni pregiudizi. Infatti non sono i bambini stranieri che se la prendono con nostro figlio, sono italianissimi e sono spesso e volentieri supportati dalla femmine. Una di loro, nell’ennesimo episodio che ci ha raccontato, durante il cambio d’ora gli ha impedito con la forza di uscire dalla classe e, per farlo, lo ha graffiato. E quando è intervenuta l’insegnante, mentre Paolo sanguinava a una mano, gli è stato detto che la bambina non aveva fatto apposta. O ancora, lui stesso aveva scritto in un altro tema episodi simili e la maestra, invece di avvisarci, ha cancellato a biro parti della storia. Ma perché coprire tanta crudeltà?”, si sono chiesti.
Certo è che, a seguito dell’escalation di atti persecutori, ora il piccolo è seguito da uno psicologo e sta cercando, attraverso un diario giornaliero, di far emergere le brutte esperienze vissute: “Le ripercussioni, purtroppo, non sono solo scolastiche. Non solo non vuole più andare a scuola o studiare, ma ha iniziato ad avere problemi a dormire, non vuole più stare solo la notte. E' inaccettabile una condizione del genere e ci rivolgiamo agli altri genitori: non tacete, se sapete denunciate”.