Baradai: “L’Isis non ci rappresenta. Vogliamo portare un messaggio di pace”

L’ appuntamento è per venerdì prossimo, 27 novembre, in via Caorsana 43/A per un grande momento di riflessione aperto a tutta la cittadinanza.

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L’ iniziativa era in realtà fissata per domani sera, 20 novembre, ma è stata fatta slittare per motivi organizzativi, per permettere una maggiore informazione presso la cittadinanza e quindi una maggiore partecipazione.

Il direttore della Comunità Islamica di Piacenza, Yassine Baradai, questa sera è stato ospite nei nostri studi e in un’ intervista ha affrontato i temi legati all’ attualità di questi giorni, all’ indomani dei tragici attentati di Parigi.

Avete organizzato questo evento in cui chiamate a raccolta cittadini e istituzioni piacentine per pregare assieme per le vittime delle stragi di Parigi, perchè?

Come comunità ci siamo sempre adoperati per portare un messaggio di pace e convivenza e crediamo di essere offesi in prima persona nella nostra fede e nel nostro intimo a causa di persone che strumentalizzano la nostra fede, di pace e di misericordia, per commettere atrocità di questo genere, quindi abbiamo pensato di fare un momento di riflessione comune, che abbiamo chiamato impropriamente preghiera, da condividere con la cittadinanza e le istituzioni.

Avete provato a mettervi nei panni di un piacentino che riceve a casa il volantino della vostra iniziativa? Ritenete che possa essere un pò sorpreso dal fatto di essere convocato da islamici quando gli autori degli stessi attentati lo sono?

Certamente, non mi stupirei se fosse così. Purtroppo ci vediamo raffigurati e stigmatizzati in modo improprio e piuttosto definito dai talk show e non ci sorprendiamo che la gente possa sorprendersi ma ci mettiamo a disposizione per far conoscere meglio il messaggio dell' Islam pratichiamo tutti i giorni assieme a 1,5 miliardi di persone nel mondo, e vogliamo dare la possibilità ai cittadini di poterlo toccare con mano e vederlo con i loro occhi.

Cosa è per voi l’ ISIS?

E’ qualcosa che ci ha infangato e tolto quello che è il nostro messaggio di pace e misericordia, qualcosa che non ci appartiene. Il discorso dell’ ISIS è molto politico e non può essere affrontato in due battute ma sicuramente è qualcosa che non ci rappresenta ma addirittura ci minaccia perché siamo anche noi doppiamente vittime di questo presunto stato. Da una parte chi si fa esplodere in nome dell’ ISIS non distingue tra musulmani, cristiani, laici o atei – tanto è vero che molti dei morti di Parigi sono musulmani –  e allo stesso tempo utilizzano impropriamente questa religione e quindi siamo soggetti a questa attenzione mediatica che ci offende e aggredisce a causa dei loro comportamenti.

E’ corretto o troppo semplicistico definire fanatici gli autori degli attentati?

Credo che la situazione debba essere studiata più a fondo, è troppo facile dare delle etichette. Bisogna andare a fondo per capire le ragioni storiche, geografiche economiche e politiche e credo che questo non venga fatto in tv o dai media. L’ appello che faccio a tutti è quello di non fermarsi agli slogan e alle etichette, facili da utilizzare.

Oggi l’ occidente ha paura, si parla di guerra e di punti sensibili nelle grandi città ma anche nelle piccole: settanta solo a Piacenza. Come reagite?

Come qualsiasi cittadino occidentale perché anche noi viviamo in questo Paese, siamo nati e cresciuti qui, anche noi siamo vulnerabili come gli altri cittadini: la mia paura, di padre, è la stessa di un padre non musulmano, siamo tutti nella stessa barca e questo deve essere compreso da tutti. Non c’è un “noi” o un “voi” ma solo un “noi” contro un terrore che viene da lontano.

Un islamico moderato dovrebbe denunciare chi interpreta in modo decisamente diverso il vostro credo. Voi come vi comportate?

Abbiamo avuto incontri con la DIGOS e lavoriamo a stretto contatto con istituzioni e le autorità per prevenire estremismi in generale, anche contro di noi. Non abbiamo mai riscontrato attività anomale perché nessuna di queste persone frequenta i  nostri centri che sono un’ autodifesa del territorio. Per loro siamo miscredenti, lontane dall’ Islam e dal loro messaggio di odio.

Ritenete di avere la situazione sotto controllo?

Non possiamo fare il lavoro delle autorità competenti, siamo singoli cittadini, cerchiamo di trasmettere il nostro messaggio di amore e pace e se rileviamo attività anomale (non è mai successo) siamo i primi a denunciarle perché la paura è trasversale.

Alcuni politici affermano che i centri di Piacenza, in via Mascaretti e in strada Caorsana, sono moschee mascherate. Come rispondete?

Questo è un argomento ormai superato ma ritengo che questa persona che continua a ripetere questo slogan non abbia ben chiaro il concetto di moschea e il significato di centro culturale in generale.

Il nostro è un lavoro a 360 gradi e non si ferma alla preghiera che è un’attività accessoria rispetto alle altre: conferenze, corsi di arabo per italiani e bambini, corsi di studio del Corano e teologia. Credo che la persona abbia un obiettivo ben chiaro: infondere un certo tipo di pensiero.

C’è il rischio che qualcuno di voi possa essere affascinato da questa filosofia dell’ ISIS?

No, come dicevo prima conosciamo le persone presenti nei nostri centri e conosciamo il lavoro continuo di conoscenza degli effettivi valori dell’ Islam che facciamo giornalmente.

I servizi segreti hanno detto che probabilmente potrebbero esserci persone del genere ma fuori da questi centri: tra persone emarginate e di basso ceto e soprattutto con un contatto molto forte sul web con queste ideologie. Crediamo che debbano essere fatti maggiori controlli sul web e nei quartieri di difficile convivenza, prevedendo alternative per i più giovani per non pensare al peggio. La politica dovrebbe interessarsi in questo senso.

Oggi in Italia e a Piacenza, c’è un partito che vi rappresenta?

Come comunità non abbiamo un colore, ognuno la pensa differentemente e ha una sua idea politica. Noi non veicoliamo nessun tipo di preferenza, il nostro è un lavoro più culturale che politico.

Quando camminate per le strade di Piacenza, notate atteggiamenti di diffidenza?

Dopo attentati del genere sicuramente c’è sempre un punto interrogativo, un’ occhiata, una parola in più. Le nostre donne sono più vulnerabili perché portano un simbolo che è molto più evidente rispetto agli uomini.

Per questo oggi ci dicevano che i musulmani non si vedono più in piazza Duomo da quando sono successi gli attentati: questa è una reazione automatica perché anche i musulmani hanno paura e temono anche che la gente possa associarli ai terroristi, cosa che non è.

I vostri figli frequentano le scuole piacentine: non dà fastidio vedere un crocifisso in una classe?

Io ho fatto catechismo. Credo che le persone sane con cui abbiamo a che fare capiscano che la cultura è una cosa e la religione è un’ altra e che soprattutto i simboli non hanno mai urtato la sensibilità di un musulmano. Il comportamento di un musulmano deve essere sano e degno di questa fede che deve testimoniare la misericordia e l’ amore che il Profeta ci ha insegnato.

L’appuntamento con il momento di riflessione, come dicevamo, è fissato per il 27 novembre alle 20 presso il centro in via Caorsana: tutti i cittadini – dice ancora Baradai – sono invitati a partecipare, senza alcun vincolo e in maniera aperta. Siamo disponibili anche negli altri giorni, durante la settimana, a ricevere quanti siano curiosi e a rispondere alle loro domande.