Su quel che restava del corpo del professore c'erano innumerevoli lesioni da arma da taglio, "impossibile stimarne il numero visto che molte erano sovrapponibili". Tuttavia "nessuna ferita da difesa", verosimilmente segno che chi lo ha ucciso e successivamente sezionato ne aveva inibito ogni possibile resistenza. Si immagina una mattanza. Eppure nell'appartamento milanese di via Settembrini, presunto luogo del delitto, sono state ritrovate pochissime tracce di sangue: "Una circostanza inspiegabile se rapportato ai 3/4 litri di sangue fuorisuciti dal corpo". Al processo per il delitto del trolley in Corte d'assise a Milano, che vede come imputato il fiorenzuolano Gianluca Civardi, è stato il giorno del medico legale Luisa Andrello. E' lei che ha effettuato l'autopsia sul cadavere di Adriano Manesco, il docente universitario di Estetica ucciso, sezionato e infilato in una valigia il 7 agosto del 2014. Davanti alla Corte presieduta dal presidente Guido Piffer, il medico ha spiegato le cause del decesso: "Schok emorragico con possibile contemporanea asfissia". In altre parole: strangolato, o soffocato, e accoltellato, quasi simultaneamente, senza contare le altre ferite provocate quando il professore era già morto. Due le lesioni fatali: una sul collo e l'altra all'altezza del torace che hanno messo fuori uso gli organi vitali, il cuore, l'aorta e un polmone. Ferite che la dottoressa Andrello ha giudicato compatibili con il coltello e con la mannaia ritrovati nel cassonetto a Lodi. Quest'ultima, in particolare, insieme con il seghetto potrebbe essere stata usata come uno scalpello per decapitarlo. Altre ferite, inoltre, sono state giudicate compatibili con quelle che può provocare un teser, strumento che fa perdere conoscenza " e che riduce la resistenza". Manesco ha perso tantissimo sangue. Eppure all'atto del sopralluogo nell'appartamento di via Settembrini, di sangue solo pochissime tracce. "A fronte di come abbiamo trovato il cadavere – ha spiegato Andrello – non mi spiego questa macroscopica assenza di sangue". E alla domanda del presidente Piffer e del piemme Maria Teresa Latella su che idea si sia fatta, il medico legale ha ipotizzato: "Tutto è stato pulito benissimo e forse le strutture e le superfici della casa erano state protette adeguatamente, magari con del cellophane". Di certo, ha assicurato, "maneggiare un cadavere è difficile". "Sì – ha aggiunto – potrebbe aver agito anche una sola persona, ma posso assciurare che per sollevare quel trolley una persona da sola non ci riesce. E' molto probabile che ad agire sia stata più di una persona". Un delitto efferato che, teoricamente, come ha sottolineato la difesa (con gli avvocati Francesca Cotani e Andrea Bazzani), potrebbe essere stato consumato anche in un altro luogo rispetto all'appartamento di via Settembrini. "No, non lo posso escludere" ha risposto Andrello a precisa domanda.
Nel corso del processo ha testimoniato anche l'altro medico legael Carlo Previderè che ha studiato i prelievi di sostanze biologiche ritrovati sui reperti come ad esempio la maniglia del trolley, il copriletto o alcuni asciugamani ritrovati in casa (dove per esempio sono state rinvenute tracce riconducibili ad altri tre ragazzi e a una ragazza non identificati). Quasi tutte tracce "riferibili alla vittima e agli imputati". Ma se per la vittima si può certamente parlare di tracce ematiche, non con la stessa certezza si può asserire che le sostanze riferibili ai due imputati siano salngue o altro.
IL MISTERO DEL TERZO TROLLEY E poi c'è il mistero di un trolley "scomparso". Stando alla ricostruzione investigativa emersa in aula durante la desposizione del capo della Squadra Mobile di Milano, Marco Di Nunzio, Civardi e Grassi giunsero a Milano con un solo trolley. Ne avrebbero poi preso uno nell'appartamento di Manesco e un altro lo avrebbero comprato in un negozio nei dintorni. Tre trolley in tutto, dunque. Uno quello ritrovato poi a Lodi conteneva il cadavere; un secondo è stato ritrovato dalla polizia a Piacenza nell'auto di Civardi parcheggiata alla Galleana. All'appello manca il terzo trolley. L'ipotesi investigativa è che sia servito inizialmente per contenere i sacchetti con i brandelli del corpo di Manesco e che poi, una volta svuotato, i due se ne siano disfatti durante il tragitto tra la stazione di Piacenza e via Nasalli Rocca.