Di fronte alla Corte era agitatissima, tanto da doversi interrompere più volte per l’emozione e farsi dare un sorso d’acqua. “A quell’ora della notte ero ancora sveglia. Vidi due persone che aprivano il cassonetto della spazzatura e vi gettavano dentro quelli che mi sembravano dei vestiti. Avevano l’aria di chi stesse facendo in fretta e furia. Mi sembrava una cosa strana e così decisi di chiamare la polizia. C’era buio, non li potevo vedere in faccia”. Al processo per il delitto del trolley, in corso a Milano in Corte d’assise (presieduta dal giudice Guido Piffer), ha testimoniato la donna residente in via Nasalli Rocca che quella notte del 7 agosto 2014 allertò la polizia. Una telefonata fondamentale per le indagini sull’atroce delitto del professor Adriano Manesco perché essa permise, di lì a poco, di far scattare i primi accertamenti e in seguito i fermi del piacentino Paolo Grassi, già condannato all’ergastolo in primo grado, e del fiorenzuolano Gianluca Civardi, l’odierno imputato. Al poliziotto della sala operativa che le rispose al telefono segnalò quegli “atteggiamenti strani da parte di due ragazzi a quell’ora della notte” che però ha detto di non aver potuto vedere in faccia. Un’udienza che ha vissuto momenti di grande tensione emotiva e che ha visto sfilare anche la tassista che avrebbe accompagnato Grassi e Civardi dall’appartamento di via Settembrini a Milano, dove si consumò l’assassinio, fino a Lodi. La donna si è ricordata di aver dato il passaggio a due giovani che trasportavano una valigia “che, sì, sembrava molto pesante”, ma che non fu lei a caricare nel bagagliaio. Un punto che la difesa – rappresentata in aula dagli avvocati Francesca Cotani e Andrea Bazzani – ritiene sia andato a proprio favore, il fatto che la tassista, fotografie alla mano, non abbia saputo riconoscere con certezza se i due clienti corrispondessero effettivamente a Grassi e Civardi. La stessa vicina di casa del professore Manesco, altro teste sfilato in aula, si è ricordata di aver visto due persone che quella sera scendevano le scale dell’appartamento milanese trasportando qualcosa, senza però saper precisare esattamente se si trattasse di un trolley.
Altro momento processuale di rilevanza la deposizione del domestico filippino di casa Manesco, erede universale dei beni del professore di estetica. Perez, che aveva la residenza in via Settembrini e che ora vive lì, ha raccontato che lavorava per conto del professore compiendo lavoretti domestici per 8 euro all’ora. Ha detto che spesso viveva lì facendo capire che tra i due vi fosse un rapporto molto solido. Ha aggiunto che c’erano anche altri ragazzi che frequentavano, chi più chi meno saltuariamente, l’appartamento. Sarebbe stato il caso di un giovane straniero che, non tanto tempo prima del delitto, soggiornò in casa Manesco per quattro mesi disponendo anche delle chiavi.
Nel corso del processo sono stati ascoltati anche il direttore del collegio Sant’Isidoro dove lavorava Grassi e un collega di quest’ultimo. Il quale ha ricordato che in qualche occasione Grassi gli aveva confidato il proposito di volersi trasferire in Thailandia con la fidanzata e con Civardi. Infine è stata ascoltata anche l’amica del cuore del professor Manesco che ha dipinto come una persona “piacevole, intelligente e di grande cultura”, ma aggiungendo di non essere a conoscenza dei dettagli sulla sua vita privata. Giovedì 15 ottobre continueranno le testimonianze: sarà il turno dei medici legali e di altri agenti della polizia.