Giuseppe Marchetti è professore e geomorfologo. Impegnato da anni nella tutela delle vallate piacentine, ha scritto una dettagliata analisi sui drammatici eventi che hanno caratterizzato il territorio in questione lo scorso lunedì 14 settembre, con danni incalcolabili a strade, case, aziende, campagne e, purtroppo, con tre vittime. E' l'analisi di un esperto del settore che si esprime su alcuni dei principali argomenti dibattuti in ogni sede nell'ultima settimana (dighe, rimozione dei detriti, insediamenti nelle aree golenali eccetera) e si concentra sulle caratteristiche dei fiumi e dei loro alvei soprattutto con riferimento alle piene. Ve la proponiamo in versione integrale.
Purtroppo l'evento (piogge intense di durata anomala), indubbiamente eccezionale (ma non imprevedibile), ha interessato territori dove:
– la sistematica antropizzazione ha provocato un notevolissimo aumento delle superfici impermeabilizzate con conseguente non indifferente diminuzione delle acque di infiltrazione sotterranea e dei tempi di corrivazione di quelle scorrenti direttamente in superficie);
– sono state indiscriminatamente occupate le aree golenali (abitazioni, capannoni, strutture produttive, campi sportivi, rilevati stradali, camping e chi più ne ha più ne metta..), creando, in moti casi, forzati e anomali restringimenti (a guisa di "clessidre") della sezione di deflusso libero delle acque di piena;
– questi restringimenti sono stati ancor più negativamente “efficaci” laddove si è provveduto a presidiarli con opere di difesa idraulica (personalmente posso segnalare, ma tutti noi lo possiamo fare, aree antropizzate dove, un tempo non molto lontano, scorreva l'acqua e dove erano presenti deliziosi laghetti, assai attraenti per la balneazione, nonchè pescosi tratti di alvei fluenti;
– a monte dei “restringimenti a clessidra” si sono spesso verificati imponenti rigurgiti delle acque, con l’innesco, a seguito di brusca rottura di questi temporanei impedimenti, di "piene nelle piene" (chi scrive ha, a suo tempo, segnalato eloquenti esempi di siffati fenomenti e delle loro altrettando negative conseguenze anche nel caso del Po);
– si è spesso proceduto alla messa in opera di difese di sponda non razionalmente ubicate, che hanno provocato altre indesiderate strettoie nlle zone di libera espansione delle correnti di piena e, spesso, pericolose rettificazioni degli alvei;
– numerosi sono i casi in cui i percorsi ad “arco” (vecchie anse meandriche) sono stati trasformati dalle difese in “corde di arco”, con marcati accorciamenti di percorso e aumento della velocità delle acque di piena, costrette a premere, fino a riconquistarsi l’antico percorso (nel frattempo occupato dall’uomo).
In sintesi:
si è provveduto a restringere vieppiù quello che da tempo ho denominato "campo giochi" dei corsi d'acqua, con la ovvia conseguenza di rendere possibile e, anzi, favorire assai deleterie e dannose "trasgressioni" dei corsi d'acqua stessi, che vogliono spesso concretizzare i loro diritti (in un condominio, se esiste uno spazio dedicato ai giochi dei bambini e dove si vuole, nel contempo, parcheggiare le auto, non ci si può lamentare se qualcuna di queste viene colpita da violente pallonate: i
casi sono due: o si impedisce ai bambini di giocare, assegnando loro un’alternativa, o si tolgono le auto.
In un recente passato, i corsi d'acqua, vuoi per fenomeni naturali, vuoi (soprattutto) per asportazione di inerti dagli alvei attivi si sono infossati (alle cause potrebbero in alcune circostanze essere aggiunti gli effetti delle opere antierosive e dei rimboschimenti – naturali o artificiali – nel frattempo intervenuti alla testata dei loro bacini imbriferi).
In alcuni casi, questi infossamenti avevano erroneamente fatto giudicare le relative zone golenali esenti da pericoli di piena.
Si è quindi assistito ad incremento della corsa alla conquista/colonizzazione delle presunte ex-golene.
Oggi gli alvei, ad estrazioni cessate, tendono faticosamente a riprendere le vecchie quote. Si grida allora allo scandalo legato a questi locali sovralluvionamenti e alla conseguente necessità (deleteria, da mille altri punti di vista) di asportare materiali dagli alvei stessi.
Non si fa invece cenno alcuno alla opportunità di garantire ai corsi d’acqua che li occupano l’originario adeguato "campo giochi" di cui si è detto.
In caso contrario, aiutati da avverse condizioni meteorologiche, essi tenteranno di acquistarselo con la forza, spesso riuscendoci.
In ogni caso, il deflusso delle piene non è certamente facilitato e tantomeno garantito da un preventivo approfondimento artificiale dell’alveo attivo, auspicato da più parti. Si tratta di un’operazione che sarebbe invece tale da innescare o accentuare pericolosi fenomeni di dissesto idrogeologico, che comprendono anche la compromissione delle difese e delle opera fluviali esistenti, che hanno retto alle piene, nonchè l’innesco di frane lungo versante).
A questo proposito, a coloro che propugnano questa ipotesi di difesa preventiva andrebbe anzi formulata la domanda che segue: per garantire il veloce svuotamento di una botte ritengono più efficace procedure ad un (necessariamente) minimo intaglio sul fondo del foro che ospita lo spinotto o un (certamente più libero in fatto di estensione) congruo allargamento in orizzontale del foro stesso ?
Da valutare caso per caso potrebbe invece essere l’opportunità di rimuovere la vegetazione d’alveo che, una volta divelta e trascinata dalle correnti, potrebbe ostruire le luci dei ponti, laddove non adeguatamente dimensionate) ( ).
Circa i danni dovuti alle conseguneze degli anomali ingrossamenti dei piccoli affluenti del Trebbia e del Nure, basta, anche in questi casi, visitare alcuni luoghi interessati dal loro passaggio, per rilevare che le acque di piena hanno prioritariamente scombussolato (con danni) quei tratti dove il reticolo minore è stato interessato da alterazioni morfologiche e opere di restringimento indotte dall’attivtà antropica, che ne ha, anche involontariamente e talora per intrinseche necessità, negativamente alterato l’assetto idraulico-morfologico.
Le decisioni in campo ambientale assunte dal "Parco del Ticino" negli ultimi quarant'anni della sua esistenza (che hanno, tra l’altro, contemplato, fin dall'origine, la cessazione delle attività estrattive in alveo), decisioni originariamente molto osteggiate, ma poi progressivamente ben accettate dalla popolazione rivierasca, hanno portato a questi due risultati:
1- lungo il Ticino (secondo fiume d'Italia) non si sono più lamentati, come tutti possono appurare, danni concreti dovuti alle piene;
2- oggi è possibile affermare: "I divieti pagano !".
Per concludere, accanto agli insegnamenti che queste purtroppo assai tristi circostanze possono offrirci, potremmo trarre un’altra opportunità: quella di individuare, attraverso una ben finalizzata ricognizione, anche con foto aeree, i minimi confini che Trebbia e Nure vorrebbero che fossero ad essi assegnati in fatto di “Campo giochi” a loro riservato.
Il tutto per esaudire, nei limiti del possibile, i loro desideri, con l’avvertenza che sarebbero impediti e puniti (opera di difesa) loro eventuali tentativi di scondinamento.
Giuseppe Marchetti (geomorfologo)