E’ come scaricare la musica dal web: un fenomeno inarrestabile; ostacolato con ogni mezzo possibile e immaginabile da chi ha interessi al mantenimento dello status quo, nel caso di specie alla vendita dei dischi “fisici”, ma comunque resta una realtà dalla quale non si può tornare indietro. Tant’è che ora, sempre per rimanere sulla musica, le stesse case discografiche si sono organizzate ed esistono piattaforme come iTunes che funzionano alla grande e tutti (più o meno) sono contenti, al netto dei pirati, che sono sempre esistiti in ogni settore e probabilmente esisteranno sempre.
Per la mobilità vale lo stesso discorso: i tassisti potranno arrabbiarsi, scioperare, urlare, fare esposti e denunce ma alla fine la filosofia del car pooling troverà il suo posto stabile nella società di questa generazione e di quelle future. In parte l’ha già trovato, a dire il vero, ma siamo ancora in piena fase di levate di scudi ed epici scontri giudiziari. Per rimanere sul paragone con la musica, sembra di essere nel periodo di Napster, la prima piattaforma in cui gli utenti internettiani scaricavano canzoni gratis con buona pace delle etichette.
Il car pooling si basa su un concetto semplice ma che non può che essere condiviso a tutti i livelli. Ce lo siamo fatti spiegare da Davide Ghezzi, imprenditore 41enne piacentino: si è diplomato al Liceo scientifico Respighi di Barriera Genova prima della laurea alla Bocconi e poi del master alla Columbia di New York. Ghezzi (con un recente passato a Londra in una delle più importanti banche d’investimento del mondo, la JP Morgan) è fondatore e socio di maggioranza di Letzgo, società nata nel 2012 a Milano proprio sull’idea che il car pooling sia il futuro della mobilità urbana, ma non solo.
“Basta fermarsi a un semaforo qualsiasi in una città qualsiasi – dice Ghezzi – per rendersi conto che le migliaia di auto in giro sulle nostre strade ogni giorno hanno una sola persona a bordo, il guidatore. Quattro posti liberi, dunque. Questa è una gigantesca inefficienza, dal mio punto di vista. Non ha senso che si muovano cose che pesano dai mille ai duemila chili (e che inquinano peraltro, ndr) per trasportare una sola persona”. Il concetto, in buona sostanza, è riempire questi veicoli, occupare i posti vuoti e creare un circolo virtuoso grazie al quale le persone che hanno esigenza di muoversi possano farlo evitando di impattare in modo sempre più devastante sul mondo che le circonda; basti pensare al traffico, che in prospettiva si ridurrebbe drasticamente con un indotto positivo favoloso: meno inquinamento, meno stress, più efficienza.
Una rivoluzione impensabile fino a poco tempo fa e oggi resa possibile esclusivamente grazie alla diffusione massiva degli smartphone, spiega Ghezzi. E’ qualcosa di simile all’autostop come idea di base, o meglio, come esigenza di base; nel senso che da sempre le persone hanno bisogno di spostarsi il più rapidamente possibile e tentando di spendere il meno possibile, ma solo l’avvento dei telefonini perennemente collegati a internet ha permesso di sviluppare questa idea “creando una community virtuosa nella quale si incontra la domanda sempre crescente di chi deve spostarsi e l’offerta di chi intende condividere il proprio mezzo di trasporto perché si trova ad andare nella stessa direzione”. Una condivisione mirata a risparmiare, naturalmente. Come? Con un rimborso che il passeggero decide di riconoscere al “driver” per le spese di viaggio. Un rimborso che Letzgo propone basandosi sui consumi indicati dall’Aci ma che in ogni caso lascia libero: “Il passeggero può dare di più come di meno” dice Ghezzi.
Al quale non possiamo che parlare della recentissima sentenza del Tribunale di Milano che di fatto ha messo in ginocchio UberPop, principale concorrente di Letzgo. Concorrente ma differente, ci tiene a precisare Ghezzi. Con una premessa, però: la sentenza contro UberPop, benché di fatto abbia provocato un’impennata degli utenti Letzgo, non fa affatto piacere a Davide Ghezzi e soci. “E’ una sentenza che va contro l’idea di mobilità che noi stessi sosteniamo” dice. Pur con le debite differenze, e tra il servizio offerto dall’americana UberPop (San Francisco) e l’italianissima Letzgo (Milano) le differenze sono importanti anche se apparentemente sottili. Le più importanti sono due. La prima riguarda la destinazione: con UberPop il passeggero non la indicava se non quando si trovava davanti il driver, il che rendeva quest’ultimo davvero simile a un tassista (ma senza la costosa licenza che gli stessi tassisti devono pagare allo Stato). Con Letzgo, guidatore e passeggero condividono lo stesso percorso già dalla app; se entrambi vanno nella stessa direzione, ecco che domanda e offerta si incontrano. La seconda differenza è il denaro: con UberPop si parla di una vera e propria tariffa (come per i taxi) mentre con Letzgo c’è un rimborso calcolato sulle spese effettive del viaggio in base a parametri riconosciuti (chilometri). Se poi il passeggero vuole dare qualcosa in più al suo driver, Letzgo non c’entra nulla. Ed è qui che si vede l’anno e mezzo di lavoro con i legali per mettersi al riparo da eventuali denunce. E per ora sta funzionando.
Car pooling come futuro della mobilità urbana, dunque. A Davide Ghezzi, nato e cresciuto a Piacenza (nato a Codogno, Lodi, a dire il vero, come ogni tanto ama precisare per sentirsi un po’ lombardo), non possiamo non chiedere se anche per una realtà di provincia come la sua città d’origine vede possibile una mobilità “condivisa” sul modello di quella che sta spopolando nelle metropoli di mezzo mondo. “Assolutamente sì, ma non ora” risponde. Il problema attualmente sono i numeri, la “massa critica” dice Ghezzi, ma le prospettive ci sono e il trend è sempre uguale: si parte dalle grandi città e si arriva a quelle più piccole. Letzgo, ad esempio, sta ricevendo tantissime richieste da realtà urbane di provincia. Chissà che non arrivino anche da Piacenza.