Sua madre vittima della Uno bianca: “Volevo uccidere, poi ho scoperto la fede”

 “Ero pronto a uccidere. Volevo la mia vendetta, ma poi ho scoperto la fede”. E’ una storia da film noir, quella vissuta da Mirco della Santina, 33enne sinti bolognese, che abbiamo avuto modo di conoscere durante il raduno della sua comunità in svolgimento a Piacenza nel polo logistico.

Radio Sound

Imbracciata la chitarra, prima canta un inno al Signore con voce calda e melodiosa ma poi, quando inizia a parlare dal pulpito in cui sono incisi solo i “Dieci comandamenti”, gela il sangue ad ascoltare il suo racconto.

Lui è il figlio di Patrizia della Santina, la donna che il 23 dicembre 1990 perse la vita al campo nomadi di via Gobetti a Bologna nell’assalto ad opera dei componenti della banda della Uno bianca. Rimasero uccisi i sinti italiani, Rodolfo Bellinati e, appunto, la madre di Mirco, di 30 e 34 anni e furono ferite gravemente una donna slava ed una bimba italiana di sei anni.

“Avevo solo 9 anni quando venne uccisa e da allora, per molti anni, ho cercato la mia vendetta – ci ha spiegato, a margine della celebrazione – e l’avevo trovata. A circa 13 anni, con una pistola in pugno, avevo individuato il figlio di uno dei componenti della banda, che ne aveva 15, ed ero pronto a sparargli”.

Una storia agghiacciante, quella di Mirco, che ha vissuto la sua giovinezza covando odio dopo aver visto la sua famiglia distrutta. In seguito alla tragedia, suo padre cercò conforto nell’alcool, i suoi fratelli iniziarono a prendere la strada della criminalità e  sua sorella, invece, per quanto giovane, dovette prendere il della madre, perdendo tutta la sua infanzia nei lavori di casa.

“Provavo solo odio nel cuore e avevo giurato vendetta. Amavo mia mamma, eravamo una buona famiglia, con ottimi insegnamenti. Non accettavo più di aver perso tutto. Alla prima occasione ero pronto a fare una pazzia. Ne ho anche avuto la possibilità, avendo un’arma, però quando è stato il momento ho sentito una voce: Mirco non farlo. Mi sono spaventato, poi l’ho sentita di nuovo e ho capito. Il Signore mi stava fermando. Fortunatamente l’ho ascoltato, mi sono costruito una famiglia, con dei figli e la malinconia nel pensare che mia madre non può vedere tutto questo è colmata dalla presenza del Signore”.

Un’esistenza difficile quella di Mirco, perché anche lui in gioventù è finito in alcuni giri di spaccio e ha conosciuto l’alcol come anestetico ad una vita di strada. Ma poi è riuscito ad uscirne, sempre grazie alla fede, anche se purtroppo i problemi non sono finiti.

“Con il risarcimento che ci ha dato lo Stato per la morte di mia madre abbiamo comprato un terreno e ci siamo stabiliti in quella zona con la famiglia ma ora il Comune ci vuole sgomberare”.  La loro abitazione, un complesso di case in legno smontabili poste in via Zinella, nei pressi della tangeziale, per l’amministrazione bolognese dev’essere liberata perché a destinazione agricola.

“Non abbiamo mai richiesto una casa allo Stato. Ci siamo comprati la terra, costruito una casa, lavoriamo, mandiamo i figli a scuola. Ma perché non ci lasciano in pace?”. 

Difficile dargli una risposta. Quel che è certo, ha voluto concludere Mirco, non aiuta il clima alimentato dalla Lega Nord, in particolare durante l’ultima campagna elettorale: “Vogio rivolgermi direttamente a Matteo Salvini: con tutto il mio cuore, gli dico che deve smettere di influenzare la gente con slogan di odio verso i sinti, i rom e i nomadi. Perché se succede un’altra strage, come quella che ho vissuto io, sarà lui il responsabile”.