“In tre anni Piacenza dimostra di poter recuperare l’occupazione persa”. E’ uno degli aspetti, ma certamente tra quelli che interessano più direttamente la popolazione, quello emerso in mattinata, venerdì 22 maggio, dal Rapporto sull’economia piacentina presentato alla Camera di Commercio in occasione della 13esima giornata dell’Economia.
In particolare, fanno registrare il segno più i numeri sulla disoccupazione e dei fallimenti ma aumenta l’export e il futuro sembra più roseo.
“Speriamo sia l’anno della ripresa – ha commentato il presidente della Camera di commercio, Giuseppe Parenti -. Questo grazie alle riforme del governo ma soprattutto all’influsso del calo del petrolio e del dollaro debole, che aiutano le nostre esportazioni. Inoltre, abbiamo redatto un raffronto con altre regioni straniere e abbiamo visto che Emilia, Lombardia e Veneto, con quelle di Germania, Francia, Inghilterra e Spagna, hanno un livello di competitività simile. Sulle nostre aziende, purtroppo, grava la burocrazia, una giustizia troppo lenta e la pressione fiscale. Per questo noi andiamo a investire all’estero ma loro non vengono ad investire in Italia”.
La disoccupazione a Piacenza ha superato quota 9% ma, ha aggiunto Parenti, “è dovuta al ridimensionaento della logistica, settore che aumenta e diminuisce velocemente. Prima della crisi eravamo sotto il 4%”.
Un dato che preoccupa ma, con gli spiragli fatti intravedere dalla ripresa, potrebbe essere recuperato – per Piacenza – nell’arco del breve termine. Lo ha confermato Massimo Guagnini di Prometeia: “La disoccupazione potrebbe rientrare se continueranno queste prospettive economiche. Riteniamo possibile che una parte sarà riassorbita in due tre anni. Ora è superiore al 9% ma con la possibilità di agganciare i timidi segnali di sviluppo potrebbe tornare verso il 6%. Prima della crisi era inferiore al 3%, ma per tornare a quel livello dovranno per forza di cose riprendersi settori come le costruzioni, l’edilizia e la logistica”.
IL RAPPORTO DELL'ECONOMIA PIACENTINA – Il Presidente Giuseppe Parenti e Massimo Guagnini, Partner di Prometeia, hanno illustrato stamane in Camera di commercio i punti salienti dell’andamento economico provinciale del 2014 ma anche i dati più recenti, raccolti nel corso dei primi mesi del 2015. L’iniziativa rientra nel novero degli eventi calendarizzati in occasione della Tredicesima Giornata nazionale dell’economia, cui la Camera di commercio aderisce ogni anno.
Dopo un 2014 contraddistinto da un calo nel numero delle imprese registrate a Piacenza, anche i primi mesi del 2015 hanno intaccato lo stock imprenditoriale, con un calo effettivo di 231 unità.
Le iscrizioni sono state nel complesso 689 ma le cessazioni (al netto di quelle d’ufficio) hanno raggiunto quota 856.
Il calo ha interessato società di persone e ditte individuali mentre si è rafforzato il numero delle società di capitale e dell ealtre forme giuridiche.
I settori più interessati dalla riduzione sono stati, nell’ordine, commercio, agricoltura, edilizia e attività manifatturiere ma anche servizi di alloggio e ristorazione. Stante che questi ultimi -nei trimestri passati- erano sempre stati interessati da trend ascendenti, il dato 2015 va ad attestare l’esistenza di un certo turn over.
Piuttosto significativo il dato dei fallimenti. Il 2014 aveva chiuso con un segnale confortante dato dalla variazione del -26% rilevata nel numero complessivo.
Nei primi 4 mesi 2015 invece i fallimenti dichiarati sono aumentati (rispetto al dato dei primi 4 mesi del 2014) del 29%.
Sul fronte protesti l’andamento si è allineato a quello registrato nel 2014, ovvero una riduzione sia nel numero che nel valore degli effetti protestati. Evidentemente il titolo di credito viene considerato poco sicuro e non viene più accettato quale mezzo di pagamento.
Da ultimo si può osservare l’andamento della cassa integrazione; il numero di ore richieste fino ad aprile 2015 è inferiore del 29% sul dato di aprile 2014.
Nettamente in calo la cassa ordinaria di matrice congiunturale (-28% circa), va osservato però l’aumento della cassa straordinaria (+19%), che viene concessa per fronteggiare gli stati di crisi aziendale, locale e settoriale oppure per provvedere a ristrutturazioni, riconversioni e riorganizzazioni.
Parenti ha ricordato, in apertura, i risultati di una indagine che Unioncamere Emilia Romagna ha condotto sul posizionamento dell’Emilia Romagna e delle sue province rispetto ad altre regioni dell’Unione europea a forte vocazione manifatturiera.
Sulla base del fatturato delle società, della loro numerosità e dell’incidenza dell’industria manifatturiera sul totale delle attività economiche, sono state individuate le regioni europee a maggior vocazione manifatturiera. Le elaborazioni hanno restituito 8 regioni, due tedesche (Baden-Wuerttemberg, Nordrhein-Westfalen), una inglese (West Midlands), una spagnola (Cataluna), una francese (Rhone-Alpes) e tre italiane (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto).
Il primo dato rilevante che emerge dai numeri riguarda l’incidenza della tassazione dei profitti. Se si considerano solo le imprese con un risultato ante imposte positivo e si misura l’incidenza delle imposte e tasse su tale risultato si ha una stima – seppur parziale e approssimativa – dell’aliquota effettiva.
Il peso della tassazione in Italia è cosa nota, l’analisi restituisce un differenziale a sfavore delle regioni italiane che mediamente supera i 10 punti percentuali e, in alcuni casi, arriva a sfiorare i 20 punti percentuali.
È interessante notare come le regioni italiane non presentino differenze sostanziali rispetto alle altre aree europee in termini di produttività (misurata attraverso un indicatore sintetico che tiene conto del valore per addetto del fatturato, del valore aggiunto e del risultato ante imposte).
Il costo del lavoro di Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia – sia come valore medio per addetto che come incidenza sul fatturato – è mediamente inferiore a quello delle altre regioni prese in esame. Per una valutazione più precisa i dati andrebbero esaminati per classe dimensionale e per settore di appartenenza, tuttavia sembra di poter affermare che le imprese italiane non scontino differenziali negativi rispetto alle altre per quanto riguarda produttività e costo del lavoro.
Rispetto alle altre regioni prese in esame – che, è bene ricordare, rappresentano le regioni dell’Unione europea a maggior vocazione manifatturiera – l’Emilia-Romagna presenta valori allineati alla media per quasi tutti gli indicatori, mostra risultati più penalizzanti solamente per quanto riguarda la dimensione media, la tassazione e la capacità di attrarre investimenti.
Un posizionamento che porta ad affermare che, dove la sfida della competitività si gioca sul terreno delle imprese (produttività, sviluppo di relazioni, capacità di investire all’estero e di innovare) l’Emilia-Romagna compete alla pari con le altre regioni europee. Quando nella sfida entra in gioco lo Stato (tassazione e burocrazia che frena l’attrazione di investimenti dall’estero) le imprese italiane, non solo quelle emiliano-romagnole, gareggiano caricandosi sulle spalle una pesante zavorra.
Valutazioni che vanno lette e interpretate affiancandole a un altro dato. L’Istat ha stimato in oltre 200 miliardi di euro il peso dell’economia sommersa e dell’illegalità in Italia. Se l’Italia avesse un’incidenza dell’economia sommersa pari alla media delle altre nazioni europee, quindi non trasformandosi in una nazione particolarmente virtuosa ma semplicemente un Paese come gli altri, ogni anno emergerebbero, e sarebbero tassabili, oltre 130 miliardi di euro.
Le imprese emiliano-romagnole se sono messe nelle condizioni di competere ad armi pari con le altre aziende europee possono giocarsela alla pari. Non è un problema di produttività, di costo del lavoro, di scarsa innovazione o di poca apertura all’estero. Più correttamente, sono tutte leve strategiche importanti, fondamentali, sulle quali occorre investire per migliorarle ulteriormente. Ma tutto questo rischia di essere insufficiente – se non inutile – se non si risolve il problema di fondo, recuperare il senso dello Stato.
Oggi partono le procedure per il rinnovo del Consiglio della Camera di commercio
Fino al prossimo 1 luglio si raccolgono candidature ed elenchi.
Saranno 23 i nuovi consiglieri dell’Ente
Piacenza, 22 maggio 2015 – Da oggi al prossimo 1 luglio le organizzazioni rappresentative delle imprese di ogni settore, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le associazioni di tutela dei consumatori e degli utenti potranno raccogliere i dati richiesti dalla legge e necessari per concorrere alla formazione del nuovo Consiglio della Camera di commercio.
L’organismo -il cui compito è quello di assumere le decisioni strategiche dell’Ente camerale- dovrà essere composto da 2 consiglieri per l’agricoltura, 4 per l’artigianato, 3 per l’industria, 4 per il commercio, 1 ciascuno per cooperative, turismo, trasporti e spedizioni e credito e assicurazioni, 3 per i servizi alle imprese. A questi si affiancheranno un consigliere in rappresentanza delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, 1 in rappresentanza delle associazioni di tutela degli interessi dei consumatori ed 1 in rappresentanza dei liberi professionisti. Quest’ultimo sarà designato dai Presidente degli ordini professionali nell’ambito della Consulta provinciale prevista dalla legge. In tutto un consesso di 23 persone al cui interno sarà eletto il nuovo Presidente.
La documentazione necessaria dovrà pervenire alla Camera di commercio in parte in forma cartacea e in parte su supporto informatico o tramite consegna a mano oppure spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno.
Il rispetto degli aspetti formali è fondamentale in quanto questo elemento potrebbe impedire l’accesso al procedimento di rinnovo del Consiglio.
Proprio per essere d’aiuto a tutti i soggetti interessati, l’Ente ha predisposto la modulistica conforme al dettato normativo ed un vademecum con le istruzioni tecniche.
Tale materiale –oltre alla normativa relativa- è liberamente accessibile sul sito della Camera di commercio, in home page (www.pc.camcom.it).