Il giornale carcerario "Sosta Forzata", attivo nel penitenziario piacentino delle Novate da undici anni, ha chiuso i battenti poche settimane fa. Una chiusura che, a quanto riferisce la redazione di "Ristretti Orizzonti" – giornale di Padova – non ha avuto motivazioni ufficiali circostanziate da parte della direzione del carcere. "Sono molto rammaricata" commenta Carla Chiappini, direttore responsabile della pubblicazione, intervistata da Ristretti Orizzonti. E aggiunge: "Ora speriamo che non si interrompa il bellissimo dialogo che avevamo instaurato tra le persone recluse e quelle libere". L'ultimo numero uscito è quello dello scorso dicembre. "Sosta Forzata" è nato come allegato del giornale diocesano "Il nuovo giornale". Una tiratura di 4.500 copie, sul quale scrivevano una media di 20 detenuti all'anno. "Il nostro obiettivo è sempre stato il dialogo tra i cittadini reclusi e i cittadini liberi. Un dialogo che nascesse dall'idea di confronto, che ponesse occhi e orecchie delle persone libere di fronte ad altre storie" si legge sul giornale veneto.
Riceviamo e pubblichiamo una lettera inviata della redazione di Ristretti Orizzonti nella quale si chiede un confronto sul tema che coinvolga cittadini e istituzioni.
Di recente la direzione del carcere di Piacenza ha sospeso le attività della redazione di Sosta Forzata. Un'azione che ci ha spinto a riflettere molto, perché sappiamo bene le difficoltà che incontrano i redattori detenuti e i redattori esterni impegnati a produrre informazione dalle carceri. E osserviamo quotidianamente gli sforzi messi in campo da chi vorrebbe che le carceri diventassero davvero luoghi trasparenti e dignitosi per chi vi abita e per chi vi lavora, ma sappiamo anche quanto sia difficile riuscire a fare passi avanti, quando il cambiamento viene contrastato perché garantire i diritti a volte viene percepito come perdita di controllo, come perdita di potere.
Cambiamento significa conquistare diritti, ma anche spazi di autonomia che bisogna gestire con responsabilità da parte di tutti, naturalmente anche da parte delle persone detenute, che sono spesso poco abituate ad avere occasioni di responsabilizzazione. Chi conosce le carceri sa che, in situazioni di privazione, ci sarà sempre quello che "farà il furbo" e approfitterà degli spazi guadagnati per ottenere qualcosa per sé, e tuttavia questo non può e non deve essere motivo di restrizione, e tantomeno di chiusura.
Una redazione di un giornale non può essere un'attività ricreativa per detenuti autorizzata sotto stretto controllo, l'informazione dal carcere è un bene comune, una risorsa di civiltà utile soprattutto al territorio, che può così conoscere meglio qualcosa che gli appartiene. Un carcere dove volontari e detenuti fanno informazione ha molte probabilità di diventare un carcere trasparente. E sappiamo che in tutte le istituzioni dove ci sono rapporti di potere fortemente sbilanciati, la trasparenza è l'unico strumento che garantisce il rispetto delle regole, e una qualità di vita e di lavoro migliore. Altrimenti le carceri rimangono luoghi opachi e nascosti dove è facile scivolare nell'arbitrio e nell'abuso.
Se fare informazione dal carcere è un'attività complessa, sapere che la direzione di un carcere può decidere di sospendere una redazione in qualsiasi momento rende tale attività estremamente precaria. E dato che la redazione di un giornale in carcere è importante e preziosa quanto qualsiasi altro giornale del territorio, questa precarietà non dovrebbe esistere.
E gli Ordini dei giornalisti del territorio dovrebbero farsi sentire di più per tutelare questi giornali così fragili, ma anche così importanti. Come afferma il Consiglio nazionale dei giornalisti, che ha espresso "apprezzamento per l'impegno volontario dei molti colleghi che realizzano strumenti di informazione all'interno degli istituti di pena in collaborazione con i detenuti e hanno dato vita alla Carta di Milano".
Non è accettabile che, nonostante il volontariato e la "società civile" abbiano dato in questi anni un contributo enorme per rendere le carceri meno disumane, nel momento in cui subentrano "motivi di sicurezza", spesso invocati in modo generico, qualsiasi attività possa essere spazzata via con un "ordine di servizio" di poche righe: che per gli operatori dell'informazione che lavorano nelle redazioni in carcere significa veder cancellare anni di faticose conquiste.
Occorre allora chiedere ai rappresentanti del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di sedersi intorno ad un tavolo con le redazioni e di dirci chiaramente se vogliono che esistiamo oppure no. E se hanno l'onestà di riconoscere l'importanza della nostra presenza nelle carceri, ci devono offrire delle garanzie chiare, devono permetterci di lavorare con la serietà e l'onestà che hanno caratterizzato in questi anni l'attività di tanti giornali nati in carcere.
Da parte nostra, dobbiamo rianimare il nostro coordinamento dei giornali e delle realtà dell'informazione dal carcere e riunirci per elaborare un documento collettivo da presentare al Dap e all'Ordine dei Giornalisti. Proponiamo quindi di fare al più presto un incontro nella redazione interna di Ristretti Orizzonti e decidere il da farsi, perché la sospensione di Sosta Forzata ci deve far riflettere e invece che indebolirci deve darci nuova forza e idee per rendere il nostro lavoro più libero e meno precario.
La redazione di Ristretti Orizzonti