Il prossimo 2 marzo, a partire dalle 11, piazza della Libertà a Faenza ospiterà una delle cinque manifestazioni dello sciopero generale nazionale dei lavoratori delle banche di credito cooperativo (BCC), indetto contro la decisione degli istituti di credito cooperativo di disapplicare il contratto di lavoro nazionale e quello integrativo regionale. Sciopero che si aggiunge a quello dei bancari aderenti all’ABI dello scorso 30 gennaio a Ravenna. Una vertenza che interessa da vicino anche Piacenza dal momento che nel nostro territorio opera una banca di credito cooperativo in cui lavorano una trentina di dipendenti.
Iniziativa che per la prima volta, dopo 15 anni, nella sola Emilia-Romagna porterà oltre 3300 bancari (il 10% dei bancari della regione) a incrociare le braccia per tutta la giornata e, di conseguenza, alla chiusura al pubblico dei 436 sportelli delle 21 BCC emiliano-romagnole. Contemporaneamente, in tutta la penisola, ci saranno cinque manifestazioni (Roma, Padova, Bari, Salerno e, appunto, Faenza) che, in definitiva, interesseranno circa 37mila lavoratori appartenenti alle 381 BCC sparse in tutta Italia.
“Siamo alla barbarie. Non sono solo a rischio i diritti su ferie, buoni pasto, periodo di malattia, inquadramento, straordinario, eccetera… E’ a rischio la stessa dignità dei bancari impiegati nelle BCC. Nessuna categoria in Italia lavora senza un contratto”, protestano i sindacati. “Sappiamo bene – continuano – che la situazione delle 381 banche di credito cooperative della penisola non è delle più rosee, ma il capro espiatorio non può certo essere il costo del lavoro, che è addirittura minore del 4% rispetto a quello dell’ABI e, negli ultimi sette anni, è aumentato solo dell'8%, contro l'aumento del 41% del costo degli amministratori”.
“I veri problemi che hanno causato chiusure dei bilanci in rosso non si risolvono di certo con i 6mila esuberi stimati in tutta Italia (600 dei quali in Emilia-Romagna), ma riguardano l’ammontare delle sofferenze, cioè dei prestiti mal assegnati e non rimborsati, che nel solo 2013 hanno costretto le BCC italiane ad accantonare oltre due miliardi di euro”. “A ciò – rincarano la dose le organizzazioni sindacali – si aggiunga una politica di espansione delle filiali il più delle volte sconsiderata, che ha portato ad aprire in regione troppi sportelli (+20% negli ultimi 7 anni) mentre le banche ABI li chiudevano (- 7% nello stesso periodo)”.
“E’ del tutto evidente – sottolineano i rappresentanti dei lavoratori – che 37mila bancari italiani del credito cooperativo non possono pagare gli errori strategici e le inefficienze di una classe dirigente inadeguata. D’altro canto i dati della Banca d’Italia parlano chiaro: su 16 commissariamenti di banche disposti dal Ministero dell’Economia, ben otto riguardano BCC, di cui oltre la metà ubicate nel Nord e una in Emilia-Romagna”.
Gli stessi sindacati nazionali, già nell’aprile 2014, avevano presentato a FederCasse un documento in cui, oltre a denunciare la situazione, erano contenute proposte concrete per sollecitare un immediato rilancio. Tra queste: un unico polo nazionale per unificare i centri informatici, le attività di back-office e le società prodotto; la razionalizzazione della rete di filiali, aperte in questi ultimi anni in maniera indiscriminata e, in molti casi, ubicate dove erano già presenti altre filiali di Bcc; la necessità di un’unica strategia di FederCasse e Iccrea Holding sulla politica reddituale, su quella industriale e su quella associativa.
Per questi motivi, i sindacati della regione, attraverso le pagine dei principali quotidiani locali, il prossimo 1° marzo lanceranno “un appello ai numerosi amministratori e soci di BCC che ancora credono in questo modello. Un appello affinché non si disperda un’esperienza creditizia che, nonostante le difficoltà, anche in questi anni di crisi è stata vicina al territorio e in grado di dare risposte a famiglie ed imprese, il più delle volte in misura di gran lunga superiore rispetto alle grandi banche”.