“Oggi Piacenza è la mia casa, ma non possiamo lasciare solo il popolo curdo”

 E’ da sempre un popolo senza patria, che ha dovuto sopportare invasioni, annessioni, genocidi e si è adattato ormai da tempo ad una guerra permanente. Tanto da essere diventato, suo malgrado, l’ultimo e quanto mai fragile baluardo della difesa dei valori occidentali contro il fanatismo religioso. Ora che la sua patria l’ha trovata a Piacenza, Fatih Arslanlar, curdo che da 10 anni vive nella nostra città ed è riuscito ad aprire una sua attività, l’Oscar Kebap di via Taverna, segue con apprensione quanto sta avvenendo nel suo paese, o meglio, ai suoi connazionali che si oppongono all’avanzata dell’Isis, lo stato islamico autoproclamato dal “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi. 
Fatih, sposato con una ragazza originaria dell’Azerbaigian, ormai considera Piacenza la sua casa, soprattutto dopo la nascita del figlio 3 anni fa e non pensa, per ora, a tornare. Ma le origini non si dimenticano e per questo, quando ha deciso di raccontarci la sua storia, ha voluto chiedere più attenzione verso quanto sta accadendo, in particolare a Kobane: “Mio padre, mia madre e i miei parenti vivono ancora in una cittadina al confine e neanche loro capiscono cosa stia accadendo. Certamente non è una guerra di religione, da sempre convivono in quella zona più fedi e confessioni, pacificamente. La questione è politica e di interessi. Io sono musulmano, però un musulmano non può ammazzare una persona per religione”. 
Un aspetto che sta emergendo dal conflitto in corso è comunque la grande resistenza dei curdi, che senza molti aiuti e mal equipaggiati, sono riusciti a resistere e a respingere gli assalti dei fondamentalisti islamici: “Siamo sempre stati in guerra con la Turchia, con l’Iraq di Saddam Hussein o la Siria di Bashar al-Assad. E’ normale che se vivi sempre in conflitto diventi un popolo forte, perché se non hai resistenza o muori o vivi. Oppure scappi. Non siamo gente cattiva, semplicemente siamo stati costretti dalla storia a resistere agli attacchi. Da ultimo questo dell’Isis”. 
E forse è anche a causa della storia del popolo curdo (tra i 35 e 40 milioni di abitanti sparsi tra Iran, Iraq, Siria, Turchia), che è difficile per molti stati, compresa l’Europa, aiutarlo in questa fase, nonostante rappresenti, a detta di molti, l’ultimo argine all’avanzata del fanatismo. Fatih, però, è convinto che aiutare la sua gente sia un dovere: “Bisogna guardare anche l’aspetto umanitario. Ci sono più di 2 milioni di sfollati e a Kobane non muoiono solo militari ma anche donne e bambini. Se uno crede in dio deve mandare un aiuto, non c’entra niente dividersi tra cristiani o musulmani. Perché i problemi sono tra la politica gli interessi, e intanto la gente muore”. 

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