Per anni è stata sottoposta a vessazioni continue: chiusa in casa, con le tapparelle abbassate, senza la possibilità di usare l’acqua calda e il riscaldamento; senza la possibilità di aprire bocca; continuamente minacciata dal marito che faceva valere la shari’a, la “legge di Dio” islamica. E’ stata straziante la deposizione in aula di una 30enne algerina che nel 2013 ha avuto la forza di reagire e di separarsi dal marito, un connazionale di 40 anni, accusato di maltrattamenti in famiglia aggravati. I due hanno vissuto in un appartamento a Piacenza. La donna, difesa dall’avvocato di parte civile Mara Tutone, è comparsa in tribunale con il capo coperto dallo chador, il velo, e piangeva ininterrottamente mentre raccontava la terribile convivenza. Ha risposto sia alle domande del piemme Antnio Rubino sia a quelle del giudice monocratico Maurizio Boselli. Fatti che hanno contraddistinto tutto il loro matrimonio, dal 2007 fino al luglio del 2013 quando, dopo essere stata colpita dall’uomo con uno schiaffo in quanto si era recata dal medico senza aver ottenuto il suo benestare, decise di allontanarsi da casa. In base al racconto della donna, le vessazioni si erano inasprite dopo che l’uomo scoprì che la donna non poteva darle figli; proprio per questo l’algerino avrebbe a quel punto cercato un’altra compagna nel suo paese d’origine minacciandola che sarebbe diventata “la loro serva”. Secondo l’avvocato difensore dell’uomo, Maria Rosaria Pozzi, una circostanza negata: l’uomo non avrebbe avuto alcuna relazione extraconiugale, piuttosto avrebbe fatto di tutto per cercare di salvare il matrimonio. La donna ha raccontato ancora di essere piombata in uno stato d’ansia e di paura. L’uomo la controllava: la obbligava a telefonarle a ogni ora mentre lui era al lavoro e ad accendere la televisione o farle sentire lo scroscio dell’acqua come prove che si trovasse in casa. Quando rientrava controllava il contatore in modo da non farle usare acqua calda e riscaldamento.