Uno dei racconti più famosi di tutta la letteratura mondiale, “Il cappotto” di Gogol’, va in scena nella versione teatrale di Vittorio Franceschi, che è anche protagonista dello spettacolo sotto la direzione di Alessandro D’Alatri, regista diviso tra cinema, teatro e pubblicità.
L’appuntamento è al Teatro Municipale di Piacenza martedì 9 e mercoledì 10 dicembre alle ore 21 per la Stagione di Prosa 2014/2015 “Tre per Te”, direzione artistica di Diego Maj, proposta da Teatro Gioco Vita con la Fondazione Teatri, il Comune di Piacenza e il sostegno di Fondazione di Piacenza e Vigevano, Cariparma, Iren.
D’Alatri con “Il cappotto”, prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione, torna a collaborare con Franceschi dopo “Il sorriso di Daphne”, spettacolo vincitore, tra gli altri, del Premio “ETI – Gli Olimpici del Teatro” 2006 e del Premio Ubu “Nuovo testo italiano” 2006, ospitato da Teatro Gioco Vita al Municipale nel marzo 2007.
Il racconto scritto da Nikolaj Vasil’evič Gogol’ nel 1842, già al centro di un adattamento cinematografico firmato nel 1952 da Alberto Lattuada con Renato Rascel protagonista, è ambientato nella Russia zarista. Racconta, tra realismo e ironia, la vicenda umana del piccolo funzionario Akàkij Akàkievic Bašmàckin che vive serenamente della propria anonima attività di copista, sino al momento in cui, costretto dalle convenzioni sociali e dall’arbitrio degli arroganti più che dal freddo dell'inverno, deve comprarsi un nuovo cappotto, per sostituire il vecchio, troppo liso per essere presentabile. L’arrivo del nuovo indumento, acquistato dal sarto Petròvic risparmiando fino all’ultimo centesimo, è per lui un evento importante, che sembra fargli guadagnare il rispetto dei colleghi e dei superiori, finché non gli viene rubato. Inizia così la sua agonia, in una vana ricerca di giustizia…
In scena, con Vittorio Franceschi, Umberto Bortolani, Marina Pitta, Federica Fabiani, Andrea Lupo, Giuliano Brunazzi,
Matteo Alì, Alessio Genchi, Stefania Medri. Le scene sono di Matteo Soltanto, i costumi di Elena Dal Pozzo, le luci di Paolo Mazzi, le musiche di Germano Mazzocchetti, il suono di Giampiero Berti. Regista assistente è Gabriele Tesauri.
Rispettando in larga parte la trama e firmando totalmente i dialoghi, assai scarsi nel testo originale Franceschi ci consegna la storia di un innocente, o per meglio dire di un uomo semplice colpito da uno speciale accanimento del destino.
«È la storia, credo – scrive l’autore e protagonista – della maggioranza degli esseri umani, dei “copisti della vita” i quali mandano avanti il mondo pur subendone le violenze e gli insulti, e ripetendone all'infinito le parole e gli usi, i sentimenti e i desideri, i sogni e i naufragi. Quindi si parla di noi, anche se Gogol’ questo racconto l’ha scritto nel lontano 1842. Credo che un grave errore sarebbe stato quello di trasferire la storia di Akàkij nei giorni nostri, come spesso si usa fare con i classici. Non ce n'è bisogno. Siamo tutti vecchi Pietroburghesi. Di quella città conosciamo a fondo gli angoli delle strade, i volti dei passanti, le voci, i rumori e gli odori, perché sono gli stessi di Milano e di Torino, di Bologna e di Genova, di Roma e di Napoli e di tutte le città italiane di oggi e di sempre. La marmaglia rapace dei presuntuosi, dei vili, delle mezze calzette, dei barattieri e dei prepotenti cammina e traffica al nostro fianco, come camminava e trafficava al fianco di Akàkij Akàkievič ai tempi dello Zar Nicola I».
«Ho affrontato la regia – scrive Alessandro D’Alatri nelle sue note – cercando di dilatare i confini del reale, proprietà esclusiva del teatro, restituendo una continuità al racconto come se non dovesse esistere mai una interruzione. Se fosse un film sarebbe un unico piano sequenza che seguendo il candore di un umile personaggio ci accompagna tra le pieghe dei vizi e della corruzione della condizione umana. Un viaggio che, nonostante la distanza storica, ci fa sentire tutta la contemporaneità dell’opera».