Nella mattinata di domenica 2 novembre, presso il cimitero urbano, ha avuto luogo la cerimonia di commemorazione dei Caduti per la Patria. Dalle 10.15, il corteo costituito dalle autorità civili e militari si è spostato dall’ingresso del cimitero con una breve sosta di fronte al monumento in onore di Giannino Bosi, per poi proseguire verso il famedio, dove alle 10.30 è stata officiata la messa.
Al termine della celebrazione religiosa, il corteo ha reso omaggio ai defunti in altri comparti del cimitero, fermandosi presso la tomba del Capitano dell’Aeronautica Militare Gaetano Mazza, alla cappella degli Austriaci, alla tomba dei cittadini illustri e presso quella dei ragazzi del Brentei, alla cappella Valente Faustini, al campetto dei partigiani e alla lapide dei partigiani fucilati, dove il sindaco Paolo Dosi ha pronunciato l’allocuzione ufficiale.
Discorso per commemorazione Caduti per la Patria
Come ogni anno ci ritroviamo, nella solennità di questa ricorrenza, in un luogo di memoria che racchiude un senso profondo di condivisione. E’ qui che rendiamo il nostro tributo alle donne e agli uomini che hanno perso la loro vita nel nome della Patria. Per una terra che hanno saputo amare, onorare, difendere. Per un ideale in cui credevano. O, tragicamente, perché vittime incolpevoli di politiche belliciste, capaci di distruggere al fronte, su un campo di battaglia, il futuro del loro stesso popolo.
Celebrare il ricordo dei Caduti di tutte le guerre, in questo 2014 che rievoca il centenario dello scoppio del primo conflitto mondiale, significa ripercorrere le tappe di un evento devastante, che tracciò netta la linea di demarcazione tra le epoche. La Grande Guerra segnò la nascita del XX secolo e vide cambiare, in quei quattro anni che lasciarono un solco doloroso in un intero Continente, i confini di molti Paesi, che di fatto rimasero tali sino al 1989: la data in cui, come concordano molti storici e come scrisse Umberto Eco, finisce il secolo scorso.
Ma cosa fu, quella guerra? Quanti piacentini morirono o rimasero gravemente feriti in un conflitto che dietro la retorica dell’amor patrio celava, in realtà, interessi ben più vasti e materiali, coinvolgendo il tessuto economico e produttivo di un Paese che usciva con le ossa rotte dalla crisi di fine secolo? Erano i tempi, duri, in cui l’Italia contadina e rurale avanzava, a piccoli passi, verso il sistema industriale. E fu proprio nel Dopoguerra, tra il 1918 e il 1921, che le lotte operaie nel triangolo tra Milano, Genova e Torino assunsero un ruolo tale da indurre la classe dirigente italiana, piuttosto debole all’epoca, a far sì che Mussolini acquisisse la leadership e salisse al potere. E’ anche con senso di responsabilità e con la franchezza di riconoscere ciò che è stato, che oggi tributiamo l’omaggio della nostra comunità a tutte le vittime innocenti di questo e di altri conflitti.
Poc’anzi abbiamo sostato, in un silenzio che esprime partecipazione, riconoscenza e rispetto, di fronte alle lapidi di persone cui dobbiamo la libertà e la democrazia. Voglio citare, in particolare, Giannino Bosi, la cui tomba è stata oggetto di un recente restauro e assurge, oggi, con rinnovata dignità, agli onori che questo giovane eroe, ucciso dalla barbarie nazifascista, merita anche nell’ufficialità di un monumento. Accanto a lui, come agli altri militari e civili insigniti di Medaglie al Valore per il coraggio e la generosità con cui hanno dato se stessi, ricordiamo oggi tutti coloro che sono morti nel silenzio delle cronache, nella miseria di una lotta armata che spogliò le persone di ogni bene e degli affetti più cari.
Ci stringiamo idealmente alla povera gente che, spesso in modo inconsapevole e senza avere altra scelta, ha dovuto dire sì a regimi dittatoriali che hanno raso al suolo case, quartieri brulicanti di vita, città intere nel cuore del vecchio continente, in quella Grande Guerra così come, forse in modo ancor più deflagrante, nel secondo conflitto mondiale. Ed è importante, in questa stessa circostanza, dedicare un pensiero carico di significato al nostro presente. Un presente che vede gli scenari del crimine mutare, spostarsi, accendere i riflettori su quella stessa radice di barbarie e violenza che i nuovi mezzi di comunicazione amplificano, chiedendo il conto alla coscienza di un mondo globalizzato che non sembra in grado di far fronte, oggi, alla necessità e all’urgenza di una pace universale.
Troppi, ancora, sono i Paesi coinvolti in stragi che provocano morte e distruzione, che colpiscono e cancellano i diritti umani. La scala della povertà favorisce nuovi estremismi e ciò che sta accadendo nel mondo arabo, con l’esacerbarsi degli integralismi, non può lasciarci indifferenti. Questo, allora, vuol dire innanzitutto celebrare la ricorrenza del centenario della Prima Guerra Mondiale: riflettere sul presente, su ciò che a fatica riusciamo a controllare, sull’inquietudine e sulla follia delle azioni terroristiche, sulla vergogna delle palestre di aggressività e intolleranza in cui si educano persino i bambini all’uso delle armi, sui luoghi in cui l’oppressione di un nemico e la ricerca di un capro espiatorio continuano ad essere l’unico orientamento e la sola guida da seguire, sulle invasioni in territori altrui e sul dramma di chi, alle porte di casa nostra come avviene nell’Est europeo, non può fare affidamento sulla stabilità politica, sul benessere, sulla pace.
Perché non è, questo, un fenomeno, che riguarda solo i Paesi meno avanzati, ma concerne anche gli Stati, sempre più numerosi, che come l’Italia stanno vivendo la crisi più drammatica dal 1929 ad oggi. E anche costruire un futuro migliore, restituire una speranza nuova ai nostri giovani, signifca onorare il sacrificio delle vittime di guerre lontane, di coloro che persero la vita a pochi metri da qui in una fredda mattina di febbraio, nel 1944. Di chi morì sul fronte austriaco e oggi viene commemorato tra le croci e i gradini di pietra di Redipuglia. Per questo, cent’anni dopo non possiamo dimenticare chi ha dato la vita per la Patria, così come chi è caduto per ideali che non gli appartenevano e che paiono, a maggior ragione, a tutti noi desueti e traballanti. Il secolo scorso, che lo storico Hobsbawm ha giustamente definito il secolo breve, è nato nel 1914 per terminare nel 1989. Ebbene, in quegli anni le vittime di guerra sono state milioni. E oggi, per tutte queste vittime e per quelle che ancora, ogni giorno, il mondo continua a piangere, rivolgiamo una preghiera, un ricordo in una cerimonia che sia da monito a tutti noi.