“Solo a Piacenza, in tutta la Regione, non sono sanciti gli orari da rispettare”. È rottura totale tra gli artigiani, in particolare della categoria benessere (Laa e Upa), e il Comune di Piacenza. E per far sentire forte la propria voce e le loro denunce, è stata convocata una conferenza stampa in via Modonesi, nella sede di Libera Arrigiani, per fare il punto sui problemi che attanagliano il settore. Oltre alla concorrenza sleale di parrucchieri ed estetisti “cinesi” (o più in generale stranieri), dovuta ai prezzi stracciati, ora a mettere a repentaglio la sopravvivenza di parrucchieri ed estetisti sono orari e distanze minime che non vengono rispettate perché – hanno detto i vertici dell’associazione – il Comune da due anni manca di fissarle.
E la presa di posizione è forte e se ne è fatto portavoce il presidente di Libera Artigiani, Alberto Bottazzi: “La situazione quotidiana è insopportabile, ci raccontano che la crisi è superata ma noi abbiamo anche avuto alcuni suicidi per attività che hanno dovuto chiudere. Ed è incredibile chi si fa bello nei convegni, senza prendere in esame quello che chiediamo da tempo. Sono due anni che non viene emessa un’ordinanza sugli orari che regoli la categoria benessere. Ci sentiamo soli”. E ha poi spiegato in cosa consiste questo provvedimento: “L’ordinanza è semplice,ed è stata oggetto nel corso nel tempo di dibattito e prevede di fissare apertura, chiusura e festività degli esercizi come parrucchieri, estetisti, centri benessere. E’ il primo paletto per contrastare l’abusivismo. La categoria è attaccata da quelli che comunemente chiamiamo ‘cinesi’, con centri benessere e operatori che non rispettano le regole, ne di orario o distanza minima da negozio a negozio ne per quanto riguarda le competenze che non sono confermate da attestati. Dall’amministrazione sembra esserci un’accettazione e questo fa molto male”.
Altrettanto duro Umberto Ilari, della categoria benessere dell’Upa: “Abbiamo aspettato tanto ma ora è il momento di denunciare questa situazione e per fare chiarezza. Sono due anni che il Comune non fa rispettare le leggi. Dopo diversi incontri e molte lettere, nonostante i pareri a nostro favore della Regione, dal 2012 non è stata emessa l’ordinanza. Abbiamo dato molto alla città, chiediamo solo di essere trattati almeno come i cinesi”.
Durante la conferenza stampa erano presenti alcune protagoniste di questa lotta per la sopravvivenza. Tra loro lo sfogo più veemente è arrivato da Laura, 25 anni, parrucchiera: “Lavoro vicino a un cinese e per 3-4 anni non pagano le tasse, poi quando sarebbe ora di farlo cambiano gestione interna e quindi quando le pagano?” si è chiesta in un'invettiva che è stata condivisa da tutti i presenti. “Tra l’altro, è risaputo, e anche la guardia di finanza me lo ha detto apertamente: non controlliamo i cinesi perché non pagano le multe e non possiamo farli chiudere. Noi italiani invece dobbiamo pagare il 70% di tasse con questa concorrenza sleale”. Ma naturalmente, nella situazione descritta, non sono solo gli artigiani a perderci. Perché la mancanza di regolamentazione può essere molto pericolosa anche per i cittadini che si rivolgono a queste strutture: “Ci, per esempio, i rischi connessi ai prodotti che utilizzano. Nella cosmesi, per esempio – spiega un’altra – "è stato accertato che l’utilizzo di prodotti non registrati possano provocare ustioni chimiche sulla cute perché cancerogeni, malattie della pelle come neoplasie e addirittura cecità. E sono usati dai cinesi”.
A sostenere queste denunce anche Lucia Fortunati, presidente proprio della categoria parrucchieri di Libera Artigiani: “Siamo nel caos, totalmente senza regole. Stiamo soffrendo, come i commercianti, e siamo stati pronti a discuterne ma combattiamo una battaglia impossibile. E’ un grido d’aiuto. E’ la fine degli artigiani. Oltre ai prezzi bassi e agli orari, anche la distanza non è sancita e quindi la concorrenza è sempre più spietata”.
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Da più parti siamo stati interessati ad un problema che ha ricadute immediate e dirette soprattutto su alcune categorie di artigiani, ma ha radici lontane e può avere un imprevedibile effetto domino.
Un numero sempre maggiore di esercizi vengono aperti a Piacenza da stranieri di origine extracomunitaria in particolare provenienti dall’est asiatico. Sono, nella maggior parte dei casi, negozi di parrucchieri ed estetisti, ma non mancano esercizi commerciali di altro e vario genere.
A fronte del tragico dato di 1000 posti di lavoro persi ogni giorno, dato Istat di recente pubblicazione, l’apertura di nuovi esercizi potrebbe essere un segnale positivo, purtroppo non è così.
Questi esercizi aprono e, grazie all’uso di manodopera in nero, all’ elusione dei controlli sulla provenienza dei prodotti, all’evasione degli obblighi fiscali, al mancato rispetto di norme e regolamenti igienico sanitari, riescono a comprimere i costi e proporre le proprie prestazioni a prezzi bassissimi ponendo in essere una inaccettabile CONCORRENZA SLEALE che i nostri artigiani e i nostri piccoli imprenditori, rispettosi di leggi, regolamenti, vincoli e, ahimè, garbugli burocratici, non possono sostenere arrivando, sempre più spesso, a chiudere!
Un fenomeno riportato alla ribalta delle cronache anche da recenti controlli incrociati compiuti dalle forze dell’ordine in varie parti d’Italia, sono fioccate denunce, sono state comminate sanzioni ed esercizi sono stati chiusi per uso di manodopera clandestina, mancata emissione di scontrini fiscali, violazioni di norme igienico-sanitarie, ma… il risulato sarà, come al solito, che le multe non saranno pagate e gli esercizi riapriranno da un’altra parte, con altro nome e ragione sociale, grazie a capitali di chissà quale provenienza, capitali che in questi esercizi, spesso piccole "lavanderie" di denaro sporco, vengono riciclati e immessi nel nostro sistema economico, che da queste fraudolente "trasfusioni" non può certo trarre giovamento.
L’amministrazione ha il dovere di intervenire per tutelare nell’immediato i nostri artigiani e imprenditori, i pochi che ancora sopravvivono. Lo Stato, anche nel proprio stesso interesse, deve garantire il corretto e leale svolgimento delle attività economiche, garantire il rispetto di leggi e regolamenti posti a tutela della salute pubblica, garantire, infine, una soglia minima di diritti, come persona e come lavoratore, a chiunque varchi i confini del paese.
Che senso ha l’accoglienza verso gli stranieri se si accetta che vengano a fare gli “schiavi”, per organizzazioni criminali, a casa nostra? Che senso ha l’accoglienza verso gli stranieri se una pelosa tolleranza di comportamenti e situazioni irregolari e/o illegali comporta il fallimento del nostro stato sociale e il progressivo deterioramento del nostro già compromesso tessuto economico? Infine che senso ha l’accoglienza se chi viene accolto non rispetta le regole di chi accoglie arrecandogli inoltre danno e compromettendone la sopravvivenza?
Nessuno vuole fingere che le politiche internazionali degli ultimi 150 anni siano state tra le cause di forti disparità nord-sud del mondo, non possiamo però accettare che tali responsabilità siano attribuite nella gestione politica sociale ed economica esclusivamente all'Italia, ma devono farsene carico tutti i paesi ricchi che insieme a noi hanno goduto del benessere economico. L’Italia sola, senza un’Europa che si definisce unita solo per batter cassa ai paesi membri, si sta sobbarcando il peso di un problema che non può risolvere nè attenuare senza distruggere tutto quello che ci permette di essere un paese civile. Comuni e governo devono alzare la voce a Bruxelles portando a casa risultati concreti per affrontare un’emergenza che in troppi hanno voluto far credere essere tutta italiana, ma le cui responsabilità sono da condividere con i paesi membri UE e oltreoceano.
La comunità internazionale deve occuparsi anche e soprattutto di intervenire nei paesi da cui provengono i disperati, al fine di costruire lì una società migliore attraverso processi di pace e non di guerra e di sfruttamento sconsiderato delle loro risorse a esclusivo vantaggio dei paesi ricchi.
I consiglieri comunali del M5S