Dibattito di altissima qualità quello proposto stamattina a Palazzo Galli sul tema della democrazia orizzontale. Sul tavolo dei relatori si sono sedute personalità di spicco nel panorama della docenza universitaria italiana, avanzando una riflessione sul rapporto tra democrazia partecipativa e tradizionale, sulla scorta di una rivoluzione digitale che ha cambiato antropologicamente l'identità dell'uomo occidentale.
“Nel cyberspazio è facile parlare ma è difficile farsi sentire”. Da questa citazione di Fabio Chiusi è partito l'intervento di Juan Carlos de Martin, docente al politecnico di Torino.
Come rendere la democrazia attuale meno formale, meno gerarchica, meno elitaria e più partecipata? Si chiede il docente e risponde: “Bisogna intervenire sui partiti politici che hanno perso di legittimità ma continuano nonostante tutto a governare. Serve una cultura politica che riguardi molte più persone a partire dai giovani e dal mondo della scuola. Si può insegnare la storia per giustificare il presente, ma si può anche valorizzare il senso del possibile, per riuscire a immaginare qualcosa di radicalmente diverso. A Torino stanno rinascendo gruppi di lettura a cui partecipano i giovani. Un ritorno al '500 insomma. Se non ripartiamo dai libri la nostra capacità di lettura della società e' nulla e il potere dei social media rischia di essere effimero.
A seguire il noto sociologo della cultura digitale De Kerckhove, docente all'università di Napoli. E' importante capire come si organizza la nostra mente a partire dai medica che usiamo. Il sistema dominante oggi e' essenzialmente digitale. La grande rivoluzione della cultura scritta e' stata la possibilità di poter registrare il linguaggio. Siamo passati da una cultura trasparente a una opaca (quella della scrittura) e poi di nuovo trasparente, con la nascita di un nuovo soggetto: l'inconscio digitale. Che tipo di cultura occorre sviluppare per evitare dunque la tirannia?
Il potere della voce e' un potere fondamentale nel mondo postindustriale. Ma la nostra responsabilità non è più verso l'altro, ma verso l'interiorizzazione della colpevolezza. Nella cultura orale sono inclusi tutti coloro che fanno parte della comunità. In quella scritta, tutti sono esclusi. Con la cultura digitale ritorniamo ad una società della vergogna, basata sul reputational capital. Che tipo di esclusione esiste nel mondo digitale? Il mondo intero e' incluso e la responsabilità si fa molto allargata. Che tipo di etica può resistere e motivare la gente a resistere alla tirannia? Cosa presentare di fronte all'ordine politico? Io parlo dell'etica della trasparenza, una confessione permanente. Quale etica dunque? L'etica del transculturalismo e della condivisione, l'etica dell'economia con il crowd funding.
Interessante il punto di vista di Karl (che ha preferito non divulgare il proprio cognome) del gruppo Ippolita, un gruppo di hacker cresciuti all'ombra dei centri sociali e delle aule di informatica: “Siamo un gruppo, da una decina di anni scriviamo di quello che consideriamo la tecnologia del dominio. Veniamo perlopiù lavorativamente parlando, dal mondo delle grandi corporazioni. Siamo coloro che fabbricano il vostro mondo digitale. Invece che di diritti legati alla società digitale, bisognerebbe parlare di privilegio. Piuttosto che di partecipazione occorrerebbe la diserzione della rete, che non è ne' libera ne' democratica. Se non ci sono le idee la tecnologia prende il controllo e si trasforma in tecnocrazia. Non è mai esistita la net neutrality: la tecnologia e' potere e non può essere eliminato, come l'identità. Ogni volta che facciamo il login noi siamo a casa di qualcun altro, non abbiamo più il controllo. Chi gestisce il nostro corpo digitale e' il padrone della rete e se la nostra identità e' tutta li, allora siamo dipendenti. E per spezzare questo legame di dipendenza occorre decrescere. Infelicemente ma consapevolmente. Zuckerberg non ha creato il mondo comune, ma ha semplicemente espanso il suo mondo a dismisura. E noi dobbiamo lottare contro la pornografia emotiva, quella per cui il silenzio non esiste e tutto può essere condiviso.
A interrogarsi sulla sponda filosofico-politica del problema, lasciando però aperto il margine per una discussione necessariamente in divenire è stata Valentina Pazé, docente dell'Università di Torino: “La democrazia degli antichi e' visualizzabile come un cerchio in cui tutti sono dualmente distanti dal centro e tutti partecipano allo stesso modo del potere. Oggi le nostre democrazie assomigliano però più a piramidi che a cerchi. Come fare dunque a rendere più orizzontale la democrazia parlamentare?
Una prima risposta arriva da Gabriella Turnaturi, sociologa delle emozioni: “E' sotto gli occhi di tutti che ci sono forme di impegno anche se molto diverse dalle forme di partecipazione tradizionale. C'è grande sfiducia verso i partiti ma anche grande impegno da parte della popolazione, anche se ovviamente in forme diverse rispetto al passato. Dobbiamo fare attenzione e dare credito a forme radicali di civismo e presa di parola, fondamentali in una società, con o senza rete.