Infiamma la polemica sul Jobs Act, la riforma con cui il Governo di Matteo Renzi vuole mettere mano alle dinamiche del mondo del lavoro. Una polemica che vede il ritorno a posizioni radicali vecchio stampo, con la parte più dura e pura del sindacato italiano (Cgil) e la sinisitra più di sinistra. E i coltelli tra i denti arrivano quando si entra nello specifico e si parla dell’articolo 18, la norma più famosa dello Statuto dei lavoratori, quella che di fatto impedisce il licenziamento senza giusta causa per le aziende con più di 15 dipendenti. Oggi si parla di rivederne i criteri in modo da uniformarci all’Europa in termini di flessibilità.
Ma a Piacenza c’è chi aveva affrontato l’argomento in modo coraggioso ben prima del Governo Renzi. E’ Giuseppe Parenti, ingegnere, imprenditore e attuale presidente della Camera di commercio piacentina. Era il 2011 quando dalle pagine del quotidiano economico Italia Oggi aveva lanciato una proposta choc: alzare da 15 a 30 dipendenti la soglia della licenziabilità. “Non ero stato capito” commenta oggi Parenti, aggiungendo che all’epoca il Paese non era pronto “ma oggi ci troviamo in una condizione ben peggiore, con il lavoro che manca non certo perché gli imprenditori licenziano ma, al contrario, perché non sono messi nelle condizioni di assumere”. Fatte salve le tutele in tema di discriminazione e altri casi limite, il presidente camerale piacentino ritiene che si debba lasciare all’imprenditore la possibilità di assumere senza il patema d’animo di pensare che sia per la vita; nel senso che se le condizioni cambiano, se il lavoro diminuisce, deve esistere la possibilità di ridurre le dimensioni aziendale. Già che si assume il rischio d’impresa, aggiunge Parenti, che almeno gli si lasci una via d’uscita in caso di crisi. “Naturalmente nessun imprenditore licenzierà mai un dipendente che lavora bene, che dà valore aggiunto alla sua azienda – puntualizza – Anzi, ne vorrà sempre di più di dipendenti così. E le conseguenze per l’economia sono facilmente immaginabili”.
L’idea di Parenti del 2011 era stata presa pari pari da un deputato radicale, Marco Beltrandi, e tradotta in una proposta di legge che si intitolava «Disposizioni per la sperimentazione triennale in deroga alle norme sulla reintegrazione nel posto di lavoro». Il progetto Beltrandi, esattamente come aveva spiegato Parenti, partiva da un assunto: «Ci sono almeno 100mila aziende in Italia che potrebbero assumere, ma non lo fanno, per non cadere nella normativa dello Statuto dei lavoratori». L'impossibilità di slegare agevolmente il vincolo che lega il lavoratore assunto in un'azienda con più di 15 dipendenti, così come prevede l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è stato in questi quaranta anni uno dei principali ostacoli, per molti imprenditori, a crescere di dimensioni facendo nuove assunzioni. L'articolo 18, ha sempre sostenuto Parenti «è una norma che risente pienamente del tempo trascorso, scritta 40 anni fa, che dovrebbe essere rivista, anche perché i 15 dipendenti di 40 anni fa oggi equivalgono a 30». In altre parole tanti imprenditori, soprattutto quelli che possono affrontare le sfide della globalizzazione, sono in condizioni di assumere ma temono di non poter tornare più indietro. Così si finisce, più spesso di quel che si pensi, per frammentare l'attività in due o tre aziende diverse, con un notevole aumento dei costi burocratici». La proposta di leggedel 2011 intendeva offrire alle imprese, in via sperimentale, la possibilità di assumere a tempo indeterminato lavoratori fino a trenta dipendenti con la conseguenza che, in caso di licenziamento che non avesse carattere discriminatorio, si applicasse una tutela di natura risarcitoria.
Di quella proposta non se n’è fatto nulla, è rimasta lettera morta. E oggi siamo qui a discutere ancora di articolo 18 ma in maniera ben più radicale. “Le tutele vanno mantenute – spiega Parenti – ma va riscritta la formula semplicemente copiando dagli altri Paesi. Visto che siamo gli ultimi della classe, a copiare possiamo solo guadagnarci”.