In 300 in piazza Cavalli per difendere la propria azienda e il proprio posto di lavoro. Sono i lavoratori di Ikea, dipendenti diretti e soci della cooperativa San Martino, quelli lontani dalle posizioni dei Si Cobas, quelli che anzi puntano il dito contro il sindacato che da settimane protesta davanti ai cancelli dello stabilimento. Una protesta nata dalla mobilitazione di 33 facchini, sospesi dopo aver bloccato un reparto del magazzino di Le Mose per difendere un loro collega: un carrellista allontanato dalla propria mansione per essersi rifiutato di effettuare l’esame delle urine (obbligatorio per i carrellisti). Da lì sono cominciati i picchetti del sindacato Si Cobas, picchetti durante i quali è stato bloccato in più occasioni l’accesso ai tir dei fornitori. Una situazione che ha spinto Ikea a fermare la produzione per alcuni giorni. Oggi, sabato 17 maggio, sono scesi in piazza per la seconda volta i lavoratori non aderenti a queste proteste dei Si Cobas.
Perché hanno deciso di scendere in piazza? Semplificando si potrebbe dire che le motivazioni sono fondamentalmente due. In prima istanza c’è la rabbia: rabbia per aver perso giorni di lavoro e di stipendio a causa del fermo della produzione. Rabbia perché i dipendenti non aderenti alla mobilitazione sostengono di dover sopportare offese e minacce ogni volta che oltrepassano i cancelli dello stabilimento. “Non possiamo aver paura di andare a lavorare” dicono. “Non si possono permettere di additarci, mettere le mani sul cofano delle nostre auto e intimidirci" dice qualcuno. "Vuoi scioperare? Fallo, ma lascia stare la gente che vuole lavorare”.
“Per i carrellisti è obbligatorio effettuare l’esame delle urine – spiega un lavoratore – la persona da cui è nato tutto si è rifiutata di sottoporsi al test. Invece di licenziarlo la cooperativa San Martino ha deciso di delegarlo ad altri incarichi e non contento ha deciso di protestare ugualmente. Ora a causa sua e di chi lo segue abbiamo perso giorni di lavoro e rischiamo di perdere l'impiego”. Già perché qui si introduce la seconda motivazione che ha portato oggi i dipendenti in piazza, la paura. L’azienda, come detto, ha deciso di fermare la produzione per alcuni giorni a causa dei blocchi: se le proteste dovessero continuare a lungo, il timore dei lavoratori Ikea è di sentirsi dire “Jag hälsar er Piacenza!”, che in svedese significa in buona sostanza “Ti saluto Piacenza”. E’ certamente un’ipotesi per ora remota, ma la dirigenza della multinazionale è stanca di questa situazione, anche perché il magazzino piacentino rifornisce i punti vendita di buona parte del mondo.
I manifestanti sono stati raggiunti dal sindaco Paolo Dosi che ha riservato parole severe nei confronti dei Si Cobas: “Mi hanno accusato di non voler parlare con loro – ha detto il primo cittadino – ma non è vero. Hanno chiesto di essere ascoltati e io li ascolterò. Ciò che mi rifiuto di fare, piuttosto, è trattare: loro scioperano e impediscono di lavorare a chi non è d’accordo con loro, bloccano la produzione impedendo l’accesso ai fornitori e spingendo Ikea a chiudere per giorni: sono modalità di sciopero illegittime e con chi opera in questo modo io non tratto”.