Lancio di mutande sporche finisce in tribunale: “prova” conservata in frigo

 Da due anni conserva in frigorifero un paio di slip pieni zeppi di escrementi. Stomachevole, in effetti, eppure era l’unico modo per conservare la prova provata della presunta meschinità dei suoi vicini di casa che ora sono stati trascinati in tribunale. In realtà probabilmente non è così, nel senso che non serviva certo conservare sottozero un “corpo del reato” così sgradevole, anche perché è alquanto improbabile che in un contesto di rilevanza penale non proprio estrema venga disposta la prova del dna. Ma tant’è, le mutande sporche sono ancora in frigo. “Spero almeno che le abbia tenute lontane dagli alimenti” è stato detto in aula. Vagamente infastidita dall'ironia, la signora (che si è costituita parte civile) ha spiegato di aver dedicato un frigorifero appositamente per la conservazione del prezioso (si fa per dire) reperto.
La vicenda è ai limiti del grottesco eppure, nonostante i tentativi da parte della stessa procura di definirla fuori dalle aule di giustizia e nonostante quelli delle difese di comporla oblando e cioè pagando una multa ed evitando così un processo pubblico che ora rischia di diventare un film di Mel Brooks, oggi si è tenuta la prima udienza di fronte al giudice Ivan Borasi del Tribunale di Piacenza. Un processo vero e proprio che peraltro fa registrare la presenza di due avvocati tra i più noti e stimati della città: Graziella Mingardi, presidente dell’Ordine forense piacentino, e Giorgio Parmeggiani, legale di importanti realtà economiche locali. Ora si sfideranno per tentare di capire di chi sono le famigerate mutande e il loro contenuto. L'avvocato Mingardi si è costituito parte civile per conto del barbiere di un paese della provincia, di sua moglie e di sua figlia: sono loro ad aver trovato la maleodorante sorpresa nel giardino di casa nel maggio di due anni fa. L'avvocato Parmeggiani, invece, assiste l’imputato: il fruttivendolo dello stesso paese.
Il contesto dei fatti è quello di una crescente tensione tra i due nuclei famigliari, vicini di casa da anni; il tutto, a quanto pare, per questioni legate ai parcheggi. Tensione che proprio nel 2012 ha raggiunto il livello di guardia quando la moglie del barbiere si è trovata un sacco della spazzatura semiaperto di fronte alla porta di casa. Inaccettabile. Morale, poco dopo nel giardino è stato installato un sofisticato sistema di videosorveglianza degno del caveau di una banca. Ed evidentemente si è rivelato utile. Qualche tempo dopo, uscendo di casa, la moglie del barbiere fa il ritrovamento che sarebbe poi diventato l’oggetto del processo appena iniziato: mutande sudice usate come “sacchetto” per contenere il più eloquente dei “materiali” per chi intenda dimostrare disprezzo e lanciate sul beolato del giardino.
Con lucidità alla Csi, la padrona di casa consiglia a suo marito di fotografare da ogni angolazione, da vicino e da lontano, gli slip incriminati; dopodiché, con guanti di pastica e fazzoletto sulla bocca, li raccoglie e li ripone con cura a -4 gradi in modo che si conservino, non certo a imperitura memoria dell’episodio ma almeno fino alla fine dei vari gradi di giustizia (anni, dunque).
Dopo aver messo al sicuro il corpo del delitto, inizia la visione dei filmati registrati dalle quattro telecamere di sicurezza installate. Ed è qui che casca l’asino. A un certo punto della notte, poco prima dell’alba, i nastri rivelano chiaramente il lancio delle mutande; non si vede altro se non un paio di slip, per così dire, pieni di qualcosa che piomba sulle beole del giardino; si vedono proprio arrivare dalla recinzione che lo separa dalla strada. Una delle registrazioni, però, è più chiara e riduce di parecchio la lista dei sospettati: inquadra l’arrivo di un furgone con l’inequivocabile scritta commerciale del fruttivendolo sospettato, inquadra un braccio che esce dal finestrino e inquadra il lancio di cui ora deve rispondere, per l’appunto, il fruttivendolo. Il reato è "getto pericoloso di cose" ed è previsto dall’articolo 674 del codice penale. Si tratta di un reato contravvenzionale che in molti credevano di trovare nella lista di quelli depenalizzati dal governo in carica, ma così non è stato.
Depenalizzato o no, il pm Ornella Chicca, incaricata delle indagini, studia le carte e ritiene di chiedere l'archiviazione del fascicolo. Archiviazione che però viene rigettata dal gip Giuseppe Bersani a seguito dell’opposizione della parte civile: la mutanda lurida è stata lanciata dal furgone del fruttivendolo, c’è la prova, e ora il fruttivendolo deve pagarne le conseguenze. A nulla è valso anche il tentativo di oblazione presentato dalla difesa dell’imputato e rigettato dal giudice.
E processo sia, dunque. Oggi la prima udienza con il racconto fornito dalle tre parti offese, il barbiere e le sue donne (moglie e figlia). Da registrare che se all’inizio dell’udienza l’aula del tribunale era pressochè deserta, verso la fine era gremita.
Appuntamento a ottobre con i testimoni della difesa. E c'è da essere curiosi.

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