Il centro culturale islamico, nella sua nuova veste, si è aperto alla città di Piacenza e non chiamarlo più moschea, anche se farà storcere il naso a molti, appare ormai solo un’ipocrisia.
Il capannone rattoppato alla bell’e meglio di strada Caorsana, inizialmente utilizzato come ritrovo per la preghiera è un ricordo lontano e oggi è utilizzato come magazzino. Sul retro, dal 2010, ha iniziato a prendere vita una struttura completamente rinnovata nella quale trovano posto dal grande salone per le preghiere (cinque giornaliere, ndr) alle classi per le lezioni di arabo ma anche di italiano e tutta la serie di iniziative delle quali va orgogliosa la comunità islamica piacentina.
Grazie al convegno organizzato oggi, sabato 3 maggio, che ha avuto per temi “Pace, convivenza e dialogo” e ospiti in apertura l’assessore al nuovo Welfare Stefano Cugini e il colonnello dei carabinieri, Luca Pietranera, i musulmani della nostra città, forse per la prima volta, sono usciti allo scoperto mettendo sul tavolo dell’integrazione numeri ed impegno. Tra i relatori, inoltre, personaggi di spicco del mondo accademico musulmano come Bader Al Mass, direttore del Dipartimento degli Affari Religiosi, Università del Kuwait e, tra gli altri, Mohamed Tabtabaii, ex direttore dell'Università del Kuwait; Sheikh Abdelfattah Mourou, teologo e avvocato tunisino; M’Hammed Talabi, presidente dell’associazione “Al Wassatiya”.
I numeri parlano di oltre un migliaio di fedeli che ogni settimana passano per questo centro culturale islamico, per un totale di 20mila musulmani che abitano tra città e provincia (1 milione e 500mila in Italia, ndr) e tra loro anche una decina di piacentini di recente conversione all’Islam. Qui sono impiegate 30 persone, a rotazione come volontari, che si suddividono in varie mansioni.
E’ in questi progetti che risiede l’impegno del centro, che si articola in incontri di dialogo interreligioso, in raccolta di indumenti e generi di prima necessità per i bisognosi (che vennero invitati persino alla popolazione emiliana colpita dal sisma del 2012, ndr), le lezioni di arabo e italiano, le iniziative sportive portate avanti dal gruppo “Giovani musulmani di Piacenza” ed è stato ottenuto persino il riconoscimento, all’interno delle Novate ogni venerdì, del cappellano carcerario islamico per condurre la preghiera.
Insomma, se questa non è una moschea ormai poco ci manca. Lo si capisce prima di tutto dalle architetture che ci accolgono all’entrata, con la tipica fontana simbolo di purificazione, fino alla riproduzione stilizzata di un minareto che, in questo caso, è stato ricavato dalla scala antincendio che sovrasta il piazzale. E poi nessuno nasconde il fatto di chiamarla proprio così. Neppure Arian Kajashi, presidente del centro: “Ma certo, poi in futuro perché no? Abbiamo un complesso islamico, ma un domani, con le generazioni future, potrà arrivare un luogo di culto vero e proprio”. Così come il vicepresidente dell’Ucoii, Youssef Sbai tra gli ospiti del convegno: “La moschea dev’essere un elemento di interazione tra diverse componenti della comunità. Parlo di moschea, ricordando che l’origine della parola ha tanti significati. Dal luogo di culto all’università. Noi questa possiamo chiamarla ‘moschea alla piacentina’. Cioè deve soddisfare i bisogni dei musulmani in Italia. Per questo è necessario continuare a studiare le esigenze dei fedeli, soprattutto di seconda generazione”.