Dodici arresti per droga, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, falso e una serie di altri reati. Dodici arresti la metà dei quali sono stati come una bomba esplosa nel cuore delle istituzioni piacentine: cinque poliziotti della Sezione Narcotici della Squadra Mobile e uno della Digos sono finiti in manette per mano dei carabinieri del Nucleo investigativo all'epoca comandato dal capitano Rocco Papaleo, oggi a Vigevano, nel Pavese: promosso a maggiore e comandante di Compagnia. Una bomba deflagrata nella Questura di viale Malta e in tutta la città come mai accaduto prima di allora: poliziotti specializzati nella lotta alla droga arrestati perché, secondo le accuse, spacciavano droga. Impressionante, in effetti. Accadeva esattamente un anno fa, lunedì 15 aprile 2013. Nessuno, prima del blitz, sapeva niente. Giusto gli addetti ai lavori e cioè gli investigatori dell'Arma delegati dal pm Michela Versini, il magistrato della Procura di Piacenza che ha coordinato tutta l'indagine, una delle più eclatanti della storia piacentina.
A un anno esatto di distanza, la situazione che inizialmente aveva destabilizzato il mondo istituzionale e in genere tutta la città, generando discussioni, malumori e dibattiti a ogni livello, oggi si è definita quantomeno in primo grado di giudizio. Ed è una definizione che ha creato una nuova ondata di reazioni e polemiche per la durezza della risposta giudiziaria a quella che gli inquirenti ritengono una sorta di tradimento della divisa.
Basta qualche numero per dare la misura di come la magistratura piacentina abbia voluto chiudere questa vicenda: 20 anni reclusione e 120mila euro di multa all'ispettore Claudio Anastasio, con il pm che ne aveva chiesti 16. Una condanna in effetti pesantissima, più pesante di quelle che non di rado si registrano in casi di omicidio. Certo, se passa la tesi dell'accusa (come in effetti è passata in primo grado), si è di fronte a un poliziotto che avrebbe fatto il contrario di quello che in teoria sarebbe chiamato a fare un poliziotto, e cioè combattere il crimine e in particolare il mondo della droga. Eppure è proprio questo che lo stesso Anastasio, per voce del suo legale Piero Porciani, ha sempre sostenuto: «Se si condanna Anastasio, si condanna chi ha sempre combattuto la droga» aveva detto il legale nella sua arringa finale prima di chiedere l'assoluzione.
E oggi è lo stesso Claudio Anastasio a ribadirlo, parlando per la prima volta dopo la condanna e facendolo proprio nel primo anniversario di quello che verrà ricordato come uno dei giorni più neri della questura piacentina: «Mi sento dare del pazzo per aver scelto il rito ordinario che non prevede sconti di pena – dice – Ma non è così. Ho scelto di voler affrontare un processo pubblico perché mi sentivo e mi sento tutt'ora innocente. Ritengo davvero di essere stato condannato ingiustamente: io ho sempre fatto quello che dovevo fare e cioè il mio dovere». Anastasio ha sempre sostenuto di aver agito nell'interesse dell'ufficio, di aver agito con lo scopo finale di togliere la droga e gli spacciatori dalla città. Ed è quello che con ogni probabilità sosterrà in tutti i gradi di giudizio che l'Ordinamento prevede.
Ma non è solo Anastasio a dire la sua in questo giorno particolare. Altri dei poliziotti condannati di recente colgono l'occasione per ribadire la propria innocenza e per ringraziare chi, sino ad oggi, a dispetto di tutto e di tutti, ha dimostrato loro vicinanza e affetto. Uno di questi poliziotti è Luca Fornasari: «Oggi per me ed altri cinque amici è un triste anniversario. Lo voglio ricordare a tutti, soprattutto a quelli che ci hanno abbandonato e hanno preso le distanze. Come sempre riusciremo da soli a venirne fuori. Non solo ne verremo fuori, ma anche se un po' acciaccati saremo più forti di prima, alla faccia di laureati che hanno dimostrato ancora una volta di non essere in grado di assumersi le proprie responsabilità. Queste persone dimostrano quotidianamente la loro incompetenza: sbagliano ogni giorno e non pagano mai». Così scrive Fornasari sul suo profilo pubblico di Facebook, portando di nuovo l'attenzione sui “superiori” ovvero sui funzionari di polizia che dirigevano e dirigono gli uffici della questura nei quali i poliziotti condannati lavoravano.
Un argomento delicato che lo stesso Anastasio aveva tentato di far entrare nel suo processo, quello con rito ordinario e quindi pubblico, chiedendo alla fine anche il confronto in aula con funzionari e dirigenti che, a suo avviso, conoscevano le dinamiche di lavoro della sezione narcotici messe in discussione in tutta questa vicenda. Confronto però ritenuto inutile dai giudici e quindi negato.
Questi gli sfoghi di alcuni dei poliziotti condannati, dunque, nel primo anniversario del loro arresto. Condanne che, a sentir loro, non fotografano la realtà dei fatti. Anzi. Tuttavia le sentenze emesse nelle scorse settimane dal Tribunale piacentino (gup e collegio) forniscono un quadro ben diverso di tutta la vicenda. E se i vent'anni ad Anastasio sono senz'altro la più eclatante delle pene inflitte, anche le condanne in abbreviato non sono certo lievi. La più severa è stata quella a carico di Paolo Bozzini con 9 anni e 72mila euro di multa; a Luca Fornasari 8 anni e 4 mesi e 50mila euro di multa; a Luciano Pellilli 7 anni e 8 mesi e 48mila euro di multa; a Paolo Cattivelli 7 anni e 4 mesi e 44mila euro.
Con l'inizio dell'estate verranno depositate le motivazioni delle sentenze dopodiché anche i vari difensori potranno eventualmente esprimere commenti più circostanziati e prendere le loro decisioni in accordo con i rispettivi assistiti. Anche se non è difficile ipotizzare che tutti sceglieranno di impugnare le condanne ricorrendo in Appello a Bologna.