Sul palco del Teatro Municipale il Balletto dell’Opera di Kiev

Penultimo appuntamento domenica prossima, 30 marzo alle 16, con la Stagione di Danza 2013-2014 della Fondazione Teatri di Piacenza realizzata in collaborazione con Aterdanza. Protagonista per la prima volta sul palco del Teatro Municipale il Balletto dell'Opera di Kiev che proporrà due balletti raramente visti nella nostra città: Paquita e Shèhèrazade.

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Lo spettacolo sarà aperto da Paquita nella versione presente nel repertorio di Kirov basata sulle coreografie di Marius Petipa e le musiche di Ludwig Minkus. Theophile Gautier scrisse a proposito di questo balletto, in particolare sull’esecuzione di una variazione da parte di Carlotta Grisi, che era «d’una arditezza e difficoltà inimmaginabili». Il virtuosismo, a quei tempi, era già il contenuto. La prima versione del balletto andò, invece, in scena all’Opéra di Parigi il 1 aprile 1846, con la coreografia di Joseph Mazilier, la musica di Deldevez e con Carlotta Grisi nel ruolo della protagonista. Il balletto in origine era pantomimico, in due atti e tre scene. Ambientato in Spagna durante l’occupazione napoleonica, narra dell’amore della zingara Paquita, cresciuta e allevata da alcuni gitani, per l’ufficiale francese Lucien d’Hervilly, da lei salvato da un complotto ordito per assassinarlo. La differenza di rango sembrerebbe dividere i due innamorati, ma durante un ballo Paquita scopre le sue nobili origini e i due possono finalmente sposarsi. Paquita si caratterizza comunque per la presenza di danze di carattere, gitane e spagnole, assai note e diventate proverbiali per mostrare tecnica e presenza delle interpreti, come il Pas des éventails, quello des tambourins o quello des manteaux.

Appartiene invece al repertorio del balletto contemporaneo, Shéhérazade, dramma coreografico in un atto di Michail Fokin, libretto di Alexandre Benois, scenografia e costumi di Léon Bakst, e musiche di Nikolaj Rimskij-Korsakov, portato in scena il 4 giugno 1910 a Parigi dalla compagnia dei Ballets Russes di Djagilev. Ispirato a un episodio delle Mille e una notte, le parti principali furono affidate a Ida Rubinstein, per il ruolo della favorita del sultano, e a Vaslav Nijinskij, che diede al personaggio dello schiavo una impressionante quanto proverbiale carica erotica e insieme selvaggia.

Il balletto mette in scena il desiderio sessuale nelle forme esotiche a cui si ispira, rompendo radicalmente con la rappresentazione idealizzata che fino ad allora la tradizione aveva consentito. I corpi, se pur tenuti socialmente distanti attraverso il travestimento esotico, mettono finalmente alla prova del proprio virtuosismo, il desiderio e la sessualità: il balletto fece naturalmente molto scalpore e di fatto avviò una corrente di moda orientale a Parigi, che segnò profondamente tutto il primo modernismo.

Per i movimenti, Fokin si ispirò ad alcune miniature persiane, creando una lussureggiante atmosfera di corpi voluttuosi culminante nelle ondulazioni di movimento nella scena dell’orgia, fino all’esplosione della crudeltà nel massacro finale. Fokin scrive nelle sue memorie che in questo balletto, per la prima volta, ha applicato i suoi princípi di rinnovamento dell’espressione nel balletto: le azioni e le emozioni dovevano essere espresse attraverso soltanto il movimento e le posture del corpo. Nessuna gesticolazione eloquente (ossia mimica) delle mani, ma una chiara proiezione delle emozioni umane attraverso le sole risorse del movimento. Era la definitiva consacrazione della coreografia come l’arte più innovativa del Novecento.

Il Balletto dell’Opera di Kiev ha una lunga e illustre storia: ospitare oggi la compagnia principale dell’Ucraina ha anche un significato simbolico più profondo. L’arte del balletto è storicamente l’unica vera lingua comune europea, a partire dall’Italia delle corti fino alla Russia degli zar, un’idea unica di forme e di corpi, e dunque di Europa e di europei, si è fabbricata anche su questa grande tradizione culturale. La condivisione di questo patrimonio nella vitalità della sua continua ripresa è anche una giusta risposta a chi, invece, vuole separare, isolare e dimenticare la sua dimensione comune.