Udienza clou oggi nell'ambito del processo all'ispettore capo della Squadra Mobile Claudio Anastasio, arrestato un anno fa dai carabinieri per vari reati tra cui spaccio di droga, sfruttamento della prostituzione e falso. Con lui erano finiti in manette altri cinque colleghi della questura, quattro dei quali hanno scelto ill rito abbreviato e sono stati condannati la scorsa settimana a pene decisamente pesanti, tra i 7 e i 9 anni di reclusione. Anastasio – l'unico ad aver scelto il processo con rito ordinario e quindi aperto al pubblico – oggi ha parlato in aula di fronte al collegio di giudici presieduto da Italo Ghitti.
Quasi tre ore di esame e controesame prima da parte del pubblico ministero Michela Versini e poi del suo difensore Pietro Porciani del Foro di Milano. Uno dopo l'altro sono stati passati in rassegna i numerosi episodi su cui si basa la tesi dell'accusa che, in estrema sintesi, parla di una squadra mobile in combutta con quello che viene ritenuto dagli investigatori uno dei più importanti spacciatori del Piacentino, il pensionato 60enne Giorgio Cavaciuti (anch'egli condannato con rito abbreviato la scorsa settimana). Si parla di partite di droga consegnata direttamente dagli agenti allo spacciatore: un quadro decisamente inquietante ma che, secondo i poliziotti stessi, va inserito in un contesto di servizio. Morale, l'obiettivo era arrestare spacciatori, solo che per farlo a livelli degni di nota era necessario scendere a patti con qualcuno. Questa, almeno, è la sintesi estrema delle posizioni che hanno sempre sostenuto a vario titolo i singoli imputati. Anastasio, però, va oltre ed è per questo che, forte della sua innocenza (così la pensa), ha deciso di affrontare un processo che non garantisce eventuali sconti di pena in caso di condanna. Va oltre nel senso che per ogni episodio, per ogni singolo episodio, ha la spiegazione. E mai – lo ribadisce spesso – era a conoscenza di certe attività illecite poi ammesse dal principale degli imputati nell'ambito del processo concluso qualche giorno fa, e cioè Paolo Bozzini. Il suo nome è saltato fuori più volte anche nell'udienza di oggi ed è stato oggetto di una domanda specifica da parte dell'avvocato difensore rivolta proprio ad Anastasio. Quando è venuto a sapere che Bozzini faceva da tramite nel passaggio di stupefacenti a Cavciuti? «Non lo sapevo – ha risposto Anastasio – Io sapevo che era un suo informatore. Se avessi saputo che gli portava droga, lo avrei aiutato». Una risposta che sulle prime ha lasciato tutti di sasso, tant'è che prima il pm e poi lo stesso presidente l'hanno ripetuta all'imputato, convinti di aver capito male. La risposta, così come formulata, suonava come una sorta di confessione choc. Il tono di Anastasio, tuttavia, faceva capire che intendeva dire altro, e poi – grazie all'intervento del suo avvocato – ha potuto spiegarlo: «Se avessi saputo che Bozzini portava droga a Cavaciuti e nonostante ciò lo avessi comunque accompagnato da lui, voleva dire che sarei stato d'accordo con lui. E così non è, ma semmai è tutto il contrario. Non avevo idea che gli venisse portata della droga».
Bozzini, dal canto suo, aveva sempre spiegato che questo tipo di rapporto con Cavaciuti era stato instaurato per ottenere risultati più rilevanti nella lotta allo smercio della cocaina in città, ma questo è stato oggetto di un altro procedimento penale.
Per quanto riguarda Anastasio, nel ripercorrere i vari fatti contestati (tra cui l'utilizzo di carte di credito clonate, le presunte minacce a uno tossicodipendente al fine di farsi aiutare eccetera), ha ribadito la sua totale buona fede e ha spiegato le prassi interne della questura, le dinamiche dell'ufficio. E non ha esitato a puntare il dito contro i dirigenti che nelle scorse udienza, in sede di testimonianza, hanno dichiarato di non ricordare alcune circostanze in merito a relazioni, anche telefoniche, ricevute dallo stesso Anastasio.
Ed è per questo che l'udienza (iniziata con l'esame dell'altra imputata, la dominicana Eridana Cortes) si è conclusa con una richiesta “bomba” da parte dell'avvocato Porciani: si faccia un confronto in aula tra Claudio Anastasio e Paolo Bozzini e poi tra Anastasio e il funzionario Stefano Vernelli, già dirigente della Mobile e oggi capo di gabinetto della Questura di viale Malta. Richiesta alla quale si è opposto il pubblico ministero e si sono rimesse ai giudici le altre parti. Alla fine, dopo una brevissima camera di consiglio, il collegio ha rigettato l'istanza del dinfesore. «Peccato – ha poi commentato quest'ultimo – Un confronto diretto tra Anastasio e due persone che di fatto sono due suoi accusatori sarebbe servito a fare finalmente chiarezza in questa vicenda davvero drammatica».
L'udienza è stata aggiornata a giovedì per la requisitoria del pm e le arringhe dei difensori.