La pioggia esalta gli eroi. Chiedilo a qualunque calciatore: quando piove i fantasisti spariscono dalla circolazione e lasciano il campo ai terzini d’una volta, quelli che piacevano a un tipo pratico come Nereo Rocco: “Tuto quel che se movi su l’erba, daghe. Se xe la bala, pasiensa”. La pioggia è per loro, per i giocatori per cui palla o gamba non fa differenza. L’eleganza va bene per quei fighetti che giocano con l’elastico tra i capelli e vanno a fare l’aperitivo con la tuta e il borsone sociale, la classe sprofonda nel fango e allora ci pensano loro, gli eroi della pioggia: sguardo cattivo, rincorsa siderale, scivolata a gamba tesa sull’acqua, tackle duro. “Alzati, non ho ancora finito con te”. Seguono un paio di epiteti poco carini sulla madre del malcapitato, poi scatarrano per terra, voltano le spalle e tornano in difesa a insultare il portiere senza motivo.
Il calcio sotto la pioggia è un altro sport, soprattutto nelle categorie minori dove a fine primo tempo non c’è il tizio che sistema e rastrella il terreno di gioco. Ci sono le buche, le zolle, i sassi. Terreno di guerra, terreno ideale per un difensore che passa la sua vita a subire il gioco di gambe degli attaccanti e a correre dietro agli esterni. Piove. Tocca a loro. Tutto comincia negli spogliatoi. Entrano, poggiano la borsa, escono, allungano una mano sotto la tettoia: viene giù bene. Ci sarà da divertirsi. Tornano negli spogliatoi e si esiliano. Gli altri fanno battute, scherzano, parlano di donne. Lui ha bisogno di concentrazione per svolgere al meglio il suo rituale. Si mette la maglia, poi i calzoncini, poi infila i parastinchi con l’immagine di Rocky Balboa sotto i calzettoni. Indossa lentamente, in maniera sacrale, quasi ecumenica, le scarpe a sei coi tacchetti di ferro, ancora limpidi, puliti, scintillanti. Le armi migliori risplendono sotto la pioggia. Fa passare le stringhe sotto la suola, poi stringe forte il nodo. Arriva l’arbitro per fare l’appello:”9 grazie”; “5 grazie”; “7 grazie”. Tocca a lui: “3, cazzo vuoi?”. In quel preciso istante l’arbitro si pente di non aver fatto il guardalinee.
Le squadre entrano in campo e l’eroe ha già litigato col centravanti avversario. “Ti aspetto dentro…”. In quel preciso istante il centravanti avversario si pente di non aver dato retta al padre che lo voleva dottore in legge. Probabilmente la sua carriera finirà lì, in un freddo pomeriggio di febbraio, sotto la pioggia, col segno dei tacchetti che l’accompagnerà per parecchio tempo. I tacchetti affondano nel fango, c’è un clima inglese, epico. Calci, sputi e colpi di testa. Nella testa dell’eroe risuona la colonna sonora del Gladiatore. Piove e quando piove s’esaltano gli eroi. Una, due, tre, quattro scivolate. L’arbitro l’ammonisce tenendosi a debita distanza. Cinque, sei, sette gomitate nello sterno. L’arbitro manda avanti il guardalinee a dirgli di finirla. Il guardalinee lascia una giovane moglie e due figli. Arriva il pallone e l’eroe lo rinvia col classico rumore che fa il pallone quando è inzuppato, con gli schizzi d’acqua che finiscono sul viso e si mischiano alla pioggia. Quando l’arbitro fischia la fine la maglia è ricoperta di fango e il mister avversario ha esaurito le sostituzioni da un pezzo. Piove. E’ il momento dei duri, degli spartani, degli eroi.
Gli eroi di questa domenica di calcio piacentino potrebbero essere tanti, dato che la pioggia non sembra voglia smettere. Quali scarpe usare? A sei o a tredici? Nike o Adidas? Non sono i tacchetti che contano. Quando piove si gioca a calcio a modo loro, senza veroniche, senza tocchi con la suola, senza tunnel. A meno che non abbiate scelto proprio questa domenica per farvi fare un tatuaggio originale sulla tibia. Sei piccoli fori circolari appena sotto il ginocchio. Congratulazioni, hai appena incontrato un terzino sotto la pioggia.