Furto in Duomo, ladri condannati a due anni si scusano con la curia piacentina

AGGIORNAMENTO  ORE 16,30 – Due anni di reclusione e 300 euro di multa. Si è concluso così il processo a carico dei due trentenni milanesi accusati di aver forzato la teca contenente le reliquie del beato Scalabrini nascondendosi all'interno del Duomo di Piacenza la notte tra il 12 e il 13 aprile dell'anno scorso e di aver rubato oggetti sacri per alcune migliaia di euro. Condanna da parte del giudice Elena Stoppini, dunque, e scuse da parte degli stessi ladri alla Curia piacentina, che questa mattina era rappresentata in aula da monsignor Anselmo Galvani. «Abbiamo fatto una sciocchezza» hanno detto i due imputati. 


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E' iniziato questa mattina il processo che riguarda uno dei furti più clamorosi degli ultimi anni a Piacenza, e non solo. Alla sbarra  degli imputati tre milanesi accusati di aver messo a segno un colpo addirittura all’interno della Cattedrale di Piacenza. Era il 12 aprile dello scorso anno ed era stata forzata e depredata la teca che contiene le spoglie del Beatro Scalabrini, uno dei simboli religiosi più importanti della città. Dalla teca erano spariti un crocifisso d’oro, un anello tolto proprio dalla salma, un calice del '700 e un rosario. Un bottino da migliaia di euro ma soprattutto uno sfregio alla sacralità del luogo e all’intera comunità piacentina. Questa mattina, dunque, è iniziato il processo con la scelta dei riti. Per uno dei tre imputati, l'unico irreperibile, l'avvocato Giandanese Nigra ha chiesto il rito ordinario e la prima udienza è stata fissata al 25 febbraio. 

Gli altri due imputati, invece, assistiti dagli avvocati Francesca Lisbona e Giovanni Capelli, verranno giudicati con rito abbreviato: la discussione, con le richieste delle parti e la probabile sentenza, è fissata per il pomeriggio di oggi. 

All'udienza di questa mattina erano presenti monsignor Anselmo Galvani, parroco della Cattedrale al momento del furto, e il sagrestano Roberto Fava. Uno dei due imputati presenti in aula pare che abbia ammesso il furto sostenendo di aver fatto una colossale sciocchezza e chiedendo al monsignore e al sacrestano un «gesto di clemenza» ritirando la denuncia: «Ho una bambina piccola, non saprei come fare» avrebbe detto. Non sapendo, tuttavia, che il reato di cui è imputato insieme agli altri (furto aggravato in concorso) è procedibile d'ufficio e di conseguenza la giustizia fa il suo corso indipendentemente dalla volontà di monsignor Galvani e di Roberto Fava. 

A breve aggiornamenti sull'esito dell'udienza.