Ex militare egiziano: “In servizio? Sparerei alla folla o mi ucciderebbero”

“Se fossi in servizio ora, in Egitto? Sparerei sulla folla, come mi ordinano di fare. Non perché è giusto, per evitare di essere ucciso a mia volta”. Non ha dubbi Hasan (nome di fantasia), egiziano che abita e lavora a Piacenza ma che nel suo paese ha prestato servizio per tre anni nell’esercito, allora guidato dal deposto dittatore, Hosni Mubarak. Non vuole farsi riprendere ma parlare sì. Perché quello che sta avvenendo nella sua terra lo indigna, così come indigna le decine di suoi connazionali che da alcune sere affollano i bar-kebab di via Roma e via Colombo, luoghi di ritrovo per gli egiziani che, finito il lavoro, si incontrano per discutere e soprattutto scambiarsi informazioni su parenti e amici rimasti nell’Egitto in guerra.

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LA MANIFESTAZIONE A MILANO – Ieri sera, poi, si trattava di un momento particolarmente partecipato, visto che era tutto un via vai per far passare il messaggio, che si concretizzerà oggi a Milano, della manifestazione in programma dalle 16 davanti all’ambasciata di viale Stelvio, a sostegno del popolo egiziano (la partenza da Piacenza è prevista verso le 14 da via Colombo).

LA SITUAZIONE IN EGITTO – Da una parte l’esercito, che ha deposto il presidente eletto Mohamed Morsi, dall’altra il suo partito, i Fratelli Musulmani, organizzazione islamista scesa in piazza per gridare allo scandalo. Lo scontro, inizialmente giocato sul piano della politica, ha preso ben presto la piega dello scontro a fuoco, con i militari che hanno deciso di rompere i blocchi dei manifestanti con l’uso massiccio delle armi. Centinaia le vittime – migliaia secondo i Fratelli Musulmani -, non si contano ormai più i feriti e un’escalation di violenza, nell'appena trascorso "venerdì della collera", che non sembra trovare una soluzione attraverso la diplomazia.

EX MILITARE DI MUBARAK – Questo clima si riflette in tutto il mondo e a Piacenza, dove la comunità egiziana è piuttosto numerosa – circa un migliaio di persone – si avverte nelle vie più frequentate dagli stranieri. E’ qui che incontriamo Hasan, oggi 30enne, una decina di anni prima giovanissimo arruolato nell’esercito dell’Egitto. “Allora fare il militare andava bene, anche se c’erano molti problemi. In particolare per il modo di fare dei colonnelli che non è cambiato neanche adesso. La gente era in  servizio per i loro comodi personali – ha spiegato Hasan -, se sapevi imbiancare i muri gli dovevi dipingere casa, se eri elettricista aggiustargli l’impianto e così via, per avere qualche permesso premio. Ti trattavano come un animale, che deve obbedire in tutto e per tutto”. Poi il durissimo addestramento: “E’ disumano, con continui soprusi e prove di forza solo per portarti al limite della sopportazione. Per abituarti a essere sottomesso, anche in condizioni estreme. Tanto che, se venivi morso da un serpente durante una missione – porta come esempio che gli è accaduto – se ti lamentavi potevi passare 40 giorni in cella per punizione”. La leva, obbligatoria in Egitto, dura 1 anno per chi si è laureato, 2 per chi è diplomato e 3 anni per chi non ha studiato, solitamente la maggior parte della popolazione povera, il caso di Hasan: “Noi eravamo sempre in prima fila, come carne da macello, mentre i colonnelli sempre molto dietro, con le loro auto blindate” ricorda.

OBBLIGATO A SPARARE – Comunque, secondo l’ex militare, le cose sono radicalmente cambiate nell’ultimo anno, dopo le elezioni: “Perché una volta c’era sicurezza nel paese. Se avevi un euro in tasca eri certo che non te lo avrebbero rubato. Ora no. Caduto Mubarak, i suoi uomini, rimasti nei posti di vertice dell’esercito, hanno prima dato alla piazza la finta promessa della democrazia. Adesso, invece, hanno voluto dimostrare che la democrazia non funziona. Prima deponendo Morsi, poi creando il caos di questi giorni con i morti per le strade. Vogliono dimostrare al popolo che la democrazia non porta sicurezza per riprendersi il potere”.  Infine l’amara ammissione, detta senza tentennamenti: “Se fossi in servizio adesso? Se fossi li e non sparassi, dopo un ordine, mi sparerebbero subito dopo. Per questo è obbligatorio sparare”.