È dedicato alla figura dell’educatore, ai criteri di scelta e ai percorsi di formazione l’intervento del vescovo di Piacenza-Bobbio, presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, pubblicato nel numero di giugno de «La Rivista del Clero Italiano» e di cui riportiamo ampi stralci.
Le parole di Papa Francesco pronunciate nella festa di san Giuseppe, durante la santa messa di inizio del pontificato, possono illuminare la missione educativa. Partendo dalla missione di san Giuseppe, Papa Francesco ha affermato: "Egli è "custode", perché sa ascoltare Dio (…). In lui, cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza". Poi, più avanti, il Papa ha proseguito: "Vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!".
Alla luce di queste parole che richiamano la vocazione e la responsabilità di tutti, possiamo evidenziare l'importanza dell'aver cura e del custodire con amore da parte della famiglia e della comunità ecclesiale. È fondamentale questa missione educativa che si attua nella vita ordinaria, nella trama della prossimità quotidiana, nell'eloquenza silenziosa dell'amore, nel clima di fiducia. La famiglia è il luogo primario dell'educazione. L'esperienza di generazione e di prossimità primaria conferisce un decisivo rilievo educativo al rapporto tra genitori e figli, rilievo che precede la stessa consapevolezza dei genitori. Il significato iscritto in quell'esperienza elementare assume una originaria valenza morale e religiosa. È oggi decisivo aiutare a cogliere e approfondire il nesso che lega generazione ed educazione, affetti e significati, in quanto la secolarizzazione della cultura ha eliminato il loro riferimento religioso. Così è stata rimossa la questione della formazione della coscienza, cancellando quei significati radicali della vita che dicono e definiscono la visione "umana" del mondo.
La Chiesa è chiamata a suscitare la consapevolezza della missione educativa della famiglia soprattutto attraverso le famiglie cristiane che, oltre a essere oggetto di evangelizzazione della Chiesa, sono anche — e soprattutto — il soggetto insostituibile di evangelizzazione nel quotidiano, nel vissuto. Illuminata dalla luce del Vangelo, la famiglia cristiana fa valere in modo concreto e visibile quei significati elementari della vita disattesi dalla cultura secolare. Così la famiglia cristiana svolge la sua missione, non solo educa al suo interno ma anche presso altre famiglie e nell’ambiente nel quale essa è inserita.
La comunità ecclesiale diventa punto di riferimento autorevole della vita buona, se ogni suo membro — soprattutto quando agisce a nome della comunità — avverte di essere chiamato a educare e svolge questo compito con passione: attraverso la sua persona e il suo operato, viene espressa la cura-custodia della Chiesa tutta, viene delineato il suo volto di «discepola, di madre e di maestra», viene edificata come comunità educante. Altre persone hanno poi la possibilità di contribuire in modo più diretto alla missione educativa, favorendo la crescita umana e cristiana di coloro con cui vengono a contatto, in quanto operano direttamente, con compiti diversificati, nell’accoglienza, nell’ascolto, nell’insegnamento, nell’accompagnamento, nella consolazione. Con la loro parola e con il loro esempio, queste persone svolgono la missione educativa, rispondono alla vocazione cristiana, favoriscono l’incontro con la parola liberante del Vangelo, concorrono allo sviluppo della vita secondo lo Spirito.
Occorre prestare la dovuta attenzione a questa basilare educazione alla fede. Nella vicenda quotidiana, nella polvere della strada, nel frastuono della piazza, questa educazione di base lascia trasparire, con lo stile di vita dei credenti, la verità fondamentale: tutto nasce dall’amore di Dio e tutto tende al suo amore.
Dio si è rivelato a noi manifestandoci il desiderio di farci partecipi della sua vita: chi vive nella fede e di fede, trasmette il grande dono che ha ricevuto e offre a tutti l’esperienza della carità di Dio. Alle sorgenti di ogni educazione — e in modo del tutto particolare dell’educazione alla fede — c’è sempre l’amore. Ed è sempre per amore che ci si aiuta, ricercando insieme la luce del volto del Padre per illuminare i nostri volti. A volte, anzi assai spesso, si tratta di un amore ferito. Come quello, a esempio, di genitori che vedono i loro figli allontanarsi dalla vita di fede, come quello di chi ha responsabilità pastorali e sperimenta quanto sia difficile far intuire la bellezza della fede agli altri, specialmente ai giovani che vivono nel rumore assordante delle nostre piazze materiali e virtuali. Ma proprio il desiderio di comunicare la luce, la bellezza e la gioia della fede sfida ogni amore ferito e lo spinge a non arrendersi.
Perché il cammino educativo cristiano contempla sempre il momento difficile ma fondamentale della rottura con il passato, della svolta decisiva, della conversione: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Marco, 1, 15). La parola di Gesù è sempre decisiva non solo all’inizio di un cammino educativo ma anche durante tutto il processo educativo: senza la conversione che tocca il cuore, l’educazione cristiana non avviene, non raggiunge la sua verità.
Insieme all'aver cura, occorre formare. Si tratta di dare il giusto risalto a figure che agiscono a livelli di educazione ove è richiesta una dedizione specifica, intenzionale e continuativa, insieme ad alcune determinate competenze, riconosciute ‑ in modo più o meno ufficiale ‑ dalla comunità ecclesiale. Possono rientrare in questa categoria i responsabili dei percorsi di iniziazione cristiana, gli animatori dei corsi di preparazione al sacramento del matrimonio, i formatori dei catechisti e dei responsabili per le diverse età della vita, le persone che operano con una responsabilità riconosciuta nel campo della carità, della liturgia, dell'oratorio. Il termine "educatore" è più appropriato a questo secondo livello e la nostra riflessione si sofferma sui criteri e sui percorsi degli educatori-formatori. Ma non bisogna mai dimenticare che la formazione è sempre al servizio dell'impegno educativo di base della Chiesa, con la proposta cristiana della vita. La Chiesa non è – e non deve diventare – un'associazione di specialisti. È il popolo di Dio in cammino edificato dalla Parola di Dio, dall'Eucaristia e dalla comunione fraterna. La Chiesa in Italia è "Chiesa di popolo" perché nelle comunità cristiane si sperimentano relazioni significative e fraterne, caratterizzate da un impegno educativo condiviso che si esprime nella preghiera, nell'attenzione all'altro, nella passione civile, nella ricerca della giustizia e del bene comune. La Chiesa è la comunità in cui le giovani generazioni possono trovare la speranza affidabile e avere così la fiducia nella forza del bene che vince, anche se a volte il bene può apparire sconfitto dalla sopraffazione e dalla furbizia. In questa "Chiesa di popolo" che nel quotidiano svolge la missione educativa, un ruolo di prima grandezza è svolto dall'insegnamento e dalla testimonianza dei santi, che sono come una Parola di Dio incarnata, rivolta a noi qui e ora.
Sappiamo che oggi non è possibile dare per scontata la formazione delle molteplici figure di educatori, sia quelle tradizionali e consolidate sia quelle nascenti. Per questo motivo appare utile delineare, seppure a grandi linee, alcune caratteristiche di fondo verso cui dovrebbero tendere tutti coloro che nella comunità cristiana sono impegnati direttamente nell’accogliere e accompagnare le persone. Ogni ambito ha, logicamente, peculiarità proprie che chiedono alle persone che vi operano una precisa competenza, ma vi sono caratteristiche trasversali. La presentazione rapida di alcune di queste caratteristiche comuni può essere di aiuto alle comunità e ai sacerdoti per far sorgere la vocazione al servizio e, in particolare, per attribuire compiti con chiara valenza educativa, e non in base all’urgenza e neppure solo perché qualcuno si rende disponibile.
La prima caratteristica di coloro che sono impegnati in un compito educativo, più o meno esplicito, all’interno della comunità cristiana è la loro fede. Solo se, in prima persona, si diventa discepoli di Gesù e ci si mette alla sua sequela, si può educare alla vita cristiana, far conoscere l’amore di Dio in maniera credibile, e cioè con la testimonianza della parola e della vita. Questo non significa che l’educatore sia già arrivato alla perfezione della vita cristiana: anch’egli, come l’educando, è in cammino, sempre in continua ricerca.
Poiché la vita cristiana si presenta come un cammino continuo, coloro che svolgono un compito educativo devono avere un’attenzione particolare alla cura della propria vita spirituale e alla partecipazione alla vita della comunità. Vale anche per la fede il detto di san Francesco di Sales: «Insegnare è la base per imparare».
La seconda caratteristica dell’educatore è che sia membro consapevole della comunità, con un senso vivo di appartenenza alla Chiesa: deve considerare il suo impegno come un mandato da parte della Chiesa, anche nel caso in cui non sia stato esplicitato o ufficializzato.
La terza caratteristica è che abbia una buona capacità di costruire relazioni positive con gli altri, di porsi nei confronti delle persone che incontra con un atteggiamento costruttivo e dialogico, teso a valorizzare le risorse presenti in ciascuno.
La quarta caratteristica è la disponibilità ad affinare la competenza specifica rispetto al servizio che è chiamato a svolgere, partecipando a proposte formative mirate.
La quinta caratteristica è la disponibilità a collaborare con altre figure educative della comunità ecclesiale e a costruire collaborazioni e alleanze con le risorse educative del territorio.
Naturalmente è assai difficile che le persone posseggano da subito questo profilo. Tuttavia appare molto importante avere come riferimento una figura “alta” di educatore: può infatti aiutare ad arginare la prassi spesso presente di scegliere solo in base a criteri occasionali e poveri. Per affidare a una persona un compito educativo è invece importante: verificare attraverso un colloquio la presenza di alcuni aspetti riconducibili alle caratteristiche e alle disposizioni sopra elencate; verificare dopo un certo periodo come l’educatore (o il gruppo di educatori) sta vivendo il proprio impegno; verificare la disponibilità a un impegno sulla propria formazione.
† Mons. Gianni Ambrosio,
Vescovo Piacenza-Bobbio