“Quando il piccolo Luca giocava con la macchinina nell’ufficio di papà”

“Se fosse successo a uno scavezzacollo ci saremmo detti: a me non può capitare. Così, invece, ci sentiamo tutti responsabili”. La tragedia che ha colpito Andrea Albanese, il genitore del piccolo Luca di soli due anni morto per asfissia nell’auto del padre dopo essere stato abbandonato otto ore per una terribile dimenticanza, ha portato il direttore generale della Copra Ristorazioni, Guido Molinaroli ad alcune considerazioni, non senza trasporto per il drammatico epilogo della vicenda. .

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Albanese era infatti uno dei dirigenti più stimati dal patron della società di ristorazione. Responsabile del controllo gestione, 39 anni, per Molinaroli era un “padre e una persona coscienziosa, ragionatrice, disposta al dialogo, cortese, sempre gentile e di buon umore. Preciso, poi. Tanto che, se doveva andare a prendere la moglie alle 16.16 se lo segnava nell’agenda elettronica. Mai in ritardo a un appuntamento. Caratteristica che richiedeva il ruolo ricoperto in azienda – ha spiegato il presidente della Copra – anche per questo la circostanza ci rende consapevoli di come, molte volte, qualcosa che ti sfugge può portare a una disgrazia”.

E’ provato, lo stesso Molinaroli, per quanto accaduto. Una tragedia consumatasi proprio di fronte al cancello della ditta, il via Bresciani. “E pensare che tanti colleghi entrando al lavoro sono passati davanti a quell’auto. Molti ancora lo ricordano, io stesso: era davanti alla finestra del mio ufficio. Ci fa sentire un senso di colpa umano, anche se non motivato. E’ risaputo – ha aggiunto – le peggiori disgrazie sono dovute a un filotto di coincidente negative che, se non interrotte, portano a una tragedia”. Proprio come nel caso del piccolo Luca.

Il pensiero poi va a lui, quel bambino così bello e simpatico “che ci ricordiamo giocare negli uffici o al Palabanca con la sua macchinina. Non voglio neanche pensare che abbia sofferto ma che si sia addormentato”.

Tornando, invece, al suo sfortunato dipendente, Molinaroli ha usato per lui parole molto tenere anche se non certo indulgenti: “Se lo avessi davanti non gli potrei mai dire: son cose che capitano. Lo abbraccerei e piangerei. La sua più grande tortura sarà stare al mondo e vivere gli anni futuri – ha affermato visibilmente emozionato -, dovrà affrontare il processo per abbandono di minore e omicidio colposo, ma questo per lui sarà il minore dei problemi”. Anche per questo il numero uno della Copra, pur sperando che Albanese, prima o poi, possa superare il trauma – il peggiore immaginabile per un padre – trova molto difficile che in un futuro ritornerà a lavorare in azienda: “Noi gli staremo vicino, però non so se avrà la forza di tornare a lavorare. Io spero di sì. Ma se fossi in lui non ce la farei, perché è successo proprio a pochi passi dal posto di lavoro. Mi auguro comunque che ce la faccia”.