Manifatturiero a picco ma Piacenza resiste: “Grazie all’80% di esportazioni”

In circa sei anni, la crisi “ha causato la distruzione” di una buona fetta “del potenziale manifatturiero italiano”, pari a circa il 15%. Il settore è in condizioni molto critiche anche se il Paese ha ancora “ottime carte da giocare”. E dall'autunno 2007 si sono registrati cali “del 40% negli autoveicoli e di almeno un quinto in 14 settori su 22”. Sono i dati resi noti oggi da Confindustria nazionale, che si riflettono su Piacenza, anche se in modo più attenuato. Lo ha confermato Cesare Betti, direttore dell’associazione degli industriali piacentini: “Fortunatamente sì, perché abbiamo un’azienda meccanica forte, che esporta per circa l’80%”. Ma il contenimento dei danni nella nostra provincia non avrebbe la forza di durare ancora per molto, ha sottolineato Betti: “Se l’Europa non cambia registro non ne usciremo – ha spiegato -. Dobbiamo guardare cosa stanno facendo Stati Uniti e  Giappone, che uscendo dalle politiche del rigore e dei tagli stanno andando bene, non interessandosi del debito”.

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LA SITUAZIONE GENERALE – Sempre più aziende italiane, anche di medie dimensioni, aumenteranno nei prossimi anni il ricorso alle emissioni obbligazionarie per far fronte alla stretta sul credito bancario. E' quanto emerge da uno studio di Standard & Poor's, che sottolinea come le compagnie del paese l'anno scorso abbiano emesso debito netto per 20 miliardi di euro per compensare una riduzione dei flussi di prestiti dalle banche pari a 44 miliardi di euro.

Al momento, ricorda l'agenzia di rating, le aziende italiane ricavano dalle banche il 90% del loro fabbisogno di finanziamento, una fonte destinata a diventare sempre più arida a causa della lunga fase di deleveraging e riassestamento dei conti che attende gli istituti di credito del paese. A spingere le imprese a ricorrere in modo più ingente alle emissioni obbligazionarie, prosegue Standard & Poor's, contribuiranno inoltre recenti interventi normativi che le agevolano, anche dal punto di vista fiscale. Si tratta di un'evoluzione che potrebbe rivelare dei vantaggi, riflette Renato Panichi, analista di Standard & Poor's.

"Crediamo che un maggiore ricorso al mercato obbligazionario potrebbe aiutare a migliorare la struttura del capitale delle aziende italiane e ridurne i rischi di rifinanziamento perché allungherebbe' i tempi di maturazione dei bond e diversificherebbe la platea di investitori", afferma Panichi.

  Il processo di progressiva sostituzione di una fonte di finanziamento con l'altra, avverte però lo studio, rischia di essere lungo e difficile in quanto gli investitori istituzionali italiani non hanno dimostrato finora una grande propensione all'acquisto di obbligazioni di medie imprese, che all'80% attraggono investitori stranieri.

Ed è proprio l'assenza di un mercato interno sufficiente, aggiunge Standard & Poor's, che ha tenuto finora le emissioni sotto quota 200 milioni di euro.

CONFINDUSTRIA: PMI SANE RISCHIANO FALLIMENTO PER CREDIT CRUNCH

Da parte sua il centro studi di Confindustria fa rilevare che i prestiti bancari erogati alle imprese si sono fortemente ridotti al punto che anche le aziende sane sono "a rischio di fallimento". Rispetto al settembre del 2011, nel marzo di quest'anno lo stock era inferiore del 5,5%, "corrispondente a una perdita di 50 miliardi di euro".

Nel rapporto sugli scenari industriali si evidenzia la riduzione soprattutto nell'industria (-26 miliardi di euro tra il 2011 e il 2013, pari a -10,1%), nelle costruzioni (-9 mld) e nelle attività immobiliari e professionali (-14 mld). "La perdita di prestiti lascia un vuoto difficile da colmare, data la storica rilevanza del canale bancario per le imprese. La carenza di liquidità è attualmente uno dei principali ostacoli per l'attività economica, specie per le imprese. E' essenziale rompere il circolo vizioso recessione-credit crunch e sviluppare canali alternativi di finanziamento".

CONTI, OGNI GIORNO SPARISCONO 40 IMPRESE

A causa della crisi ogni giorno in Italia chiudono 40 imprese manifatturiere dice il vice presidente Confindustria per il Centro Studi, Fulvio Conti. "La profondità e la durata degli effetti della crisi – ha spiegato – hanno messo a dura prova la tenuta del tessuto sociale ed industriale del nostro Paese. Otto milioni di persone vivono in condizioni di povertà, quattro giovani su dieci sono senza lavoro. La produzione industriale e' crollata del 25% in media e in alcuni settori di oltre il 40% dal picco pre crisi con circa 40 imprese manifatturiere che spariscono ogni giorno".

IN 4 ANNI CHIUSE OLTRE 54MILA IMPRESE

In quattro anni, dal 2009 al 2012, in Italia hanno cessato l'attività 54.474 imprese manifatturiere, il 19,3% del totale.

  Dal 2007, anno della prima delle due recessioni che si sono abbattute sul Paese, il numero totale delle imprese manifatturiere è diminuito di oltre 32mila unità. Le più colpite sono state le Pmi. A soffrire di più, come numero di imprese chiuse, è stato il settore dei 'prodotti in metallo (esclusi i macchinari)', che ha perso 9.009 aziende, seguito dal comparto dell'abbigliamento (-4.898), da quello dei macchinari e delle apparecchiature (-4.413) e da quello dell'industria alimentare (-4.030). La quota di maggiori cessazioni si è avuta invece nel farmaceutico (-27,7%), nel tessile (-26,7%), nella pelletteria (-25,3%) e nell'abbigliamento (-25%).

MANIFATTURIERO IN PERICOLO; DISTRUTTO IL 15% IN 6 ANNI

La crisi, in circa sei anni, "ha causato la distruzione" di una buona fetta "del potenziale manifatturiero italiano", pari a circa il 15%. Il settore "e' in condizioni molto critiche" anche se il Paese ha ancora "ottime carte da giocare".

  Dall'autunno del 2007 si sono registrati cali "del 40% negli autoveicoli" e "di almeno un quinto in 14 settori su 22".

In Germania, invece, il potenziale manifatturiero e' salito del 2,2%, "anche se con alta varianza settoriale. In condizioni analoghe a quelle italiane, spiega ancora l'analisi, versano le industrie francesi e spagnole". Tornare ai livelli pre-crisi non sara' facile: a questo punto, afferma il responsabile del Csc, Luca Paolazzi, "non basta rilanciare la domanda, occorre ricreare un bel pezzo della capacita' produttiva".

Ma "e' realistico supporre che, data la profondita' della caduta di attivita', il conseguente restringimento della base imprenditoriale, la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e, soprattutto, il forte arretramento della domanda interna, una parte della riduzione del prodotto potenziale sia permanente". Per gli esperti di viale dell'Astronomia si devono concentrare gli sforzi sul settore "perche' il maggior peso del manifatturiero genera maggiore crescita dell'intero sistema economico. E' il motore dello sviluppo grazie al maggiore dinamismo della sua produttivita' per cui lo spostamento di risorse verso l'industria innalza la dinamica generale della produttivita' quindi di tutta l'economia".