“Sono stato anch’io un bambino, quindi il difficile non è perché sono piccoli. Semmai per il fatto di non essere cresciuti in un territorio come in quello dove sono stato bambino io”. Non ha dubbi Gaetano Soffioti, 53 anni e testimone di giustizia sotto scorta da 11, quando si appresta in mattinata rispondere alle domande dei ragazzi delle scuole elementari di Monticelli d’Ongina e Caorso, nell’ambito della presentazione del libro “Calabria ribelle”, scritto dal giornalista Giuseppe Trimarchi. La sua storia, di imprenditore che non ha accettato di continuare a pagare il pizzo per la sua ditta di calcestruzzi a Palmi (sulla strada che porta a Gioia Tauro) e ha denunciato i suoi estorsori alla magistratura, può essere compresa da tutti, anche dagli alunni delle scuole elementari.
Con le sue dichiarazioni ha dato vita all'importante operazione di polizia “Tallone d'Achille”, che ha portato all'arresto e alla successiva condanna, per associazione di tipo mafioso ed estorsione, di numerosi esponenti delle famiglie mafiose dei Bellocco, Piromalli e Gallico.
Storia ancor più significativa la sua perché arrivata a Monticelli d’Ongina, paese protagonista della più grande operazione contro le ‘ndrine nella nostra provincia, denominata “Grande Drago” e che è scaturita nella sentenza senza precedenti di sei condanne per associazione a delinquere di stampo mafioso emessa dal tribunale di Piacenza.
Le pene inflitte dal collegio giudicante nell’ambito dell’operazione “Grande Drago”: Francesco Lamanna, condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione, Antonio Villirillo 3 anni e 6 mesi, Alfonso Mesoraca, 6 anni, Carmine Pascale 3 anni e 6 mesi, Gennaro Pascale 4 anni e 6 mesi, Gianluca Amato 2 anni e 8 mesi. Sono invece stati assolti: Luciano e Andrea Villirillo e Antonio Vito perché i fatti loro contestati non sussistono. Nello stesso processo è stato assolto dall’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso Carmine Oliviero Megna, che è stato condannato a 8 mesi per detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio.
“Ho denunciato nel 2002 – casualmente l’anno degli arresti a Monticelli – e vivo ancora in un bunker, nella mia azienda a Palmi – spiega Soffioti -, la situazione è migliorata solo perché se ne parla. Ma era importante rimanere, mi definisco un avamposto in terra di ‘ndrangheta, perché purtroppo il territorio è ancora sotto la legislazione di queste famiglia. Ma se tutti vanno via non riusciremo a risolvere questo problema”.
Troppo spesso in passato, secondo Soffioti, “si è commesso l’errore di non creare allarmismo, sottacendo su alcune problematiche occasionali. E’ una sottovalutazione della pervasività della criminalità organizzata. Però constatare che le istituzioni ci sono e si muovono è consolatorio”. Oggi, rispetto al passato, qualcosa sembra però essere cambiato. Sia nella consapevolezza che le mafie sono presenti al Nord, sia perché, ha precisato l’imprenditore sotto scorta, “ci sono le condizioni per denunciare. Non ci sono più alibi e chi li trova è un ipocrita con sé stesso”.
L’incontro, svoltosi oggi in piazza Casali a Monticelli d’Ongina e organizzato dall’istituto elementare in collaborazione con l’associazione Libera, ha visto la partecipazione del sindaco Michele Sfriso, del vicesindaco (di origini calabresi) Saverio Iacovino, della dirigente scolastica Manuela Bruschini, della rappresentante locale di Libera Antonella Liotti e dell’autore del volume.
“Siamo al coronamento di un anno di educazione alla legalità” ha detto Bruschini in apertura. Poi la parola è passata a Trimarchi, che ha voluto spiegare i motivi che lo hanno spinto a scrivere “Calabria ribelle”: “Di ‘ndrangheta si è parlato molto, ma ne uscivano solo teste di animali mozzate, riti arcaici, battesimi, faide. Mancava la descrizione sulla Calabria che non accetta queste cose e volevo raccontare questa parte sana. Che purtroppo fa poco notizia”.