I “furti buoni” dividono la Chiesa, Ambrosio: “Sbagliato, giusto è donare”

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Sta tenendo banco a livello nazionale la crociata di don Enrico Torta, curato di Dese (Venezia), che dopo l’ennesima tragedia figlia della crisi (il suicidio di una coppia di imprenditori e del fratello di lei, a Civitanova Marche) ha scritto sul volantino parrocchiale: “Che non capiti mai che un mio parrocchiano sia tentato di uccidersi: insieme, e io per primo, lo aiuterò a rubare perchè sopravviva”. Un messaggio che divide la Chiesa, tra sostenitori del “metodo Robin Hood” e molti critici.  Così, dopo il furto avvenuto ieri in Duomo – dove sono stati sottratti alcuni oggetti appartenuti al beato Giovanni Battista Scalabrini – è intervenuto anche il vescovo di Piacenza, monsignor Gianni Ambrosio: “Al di là dell’aspetto commerciale, che non è alto, dispiace la sparizione di questi oggetti che erano lì proprio perché appartenuti alla sua vita – ha spiegato – e a testimoniare il suo servizio pastorale come padre dei migranti. Provoca dolore”.

A sua volta, monsignor Ambrosio non si è tirato indietro dall’affrontare il tema della povertà che progressivamente affligge fasce sempre più larghe della popolazione piacentina, che può portare a commettere reati. Ma rubare, ha chiarito, non è giustificabile: “Anche nei casi estremi il tema non è rubare, quanto aiutare le persone a ritrovare il minimo vitale che consenta di sopravvivere”. Il vescovo ha poi aggiunto, senza voler fare proclami: “Temo che quelli che vanno a rubare non siano coloro che hanno davvero maggiormente bisogno. Loro sanno dove rivolgersi. L’invito è ad aprire la porta e il cuore a queste persone. Il male genera sempre il male e per evitarlo dobbiamo contribuire tutti al bene, cioè alla generosità verso i fratelli”.