Si rifiuta di pagare la cocaina al fidanzato, lui le rompe costole e labbro

Gli voleva bene e non riusciva a troncare di netto la relazione anche se ormai aveva capito che la cocaina lo aveva trasformato: da giovane mansueto e premuroso era diventato irascibile, intrattabile e spesso arrivava a metterle le mani addosso. Lei 34 anni all’epoca dei fatti (il 2009), lui nove di meno e una storia che durava dal 2005. Vivevano insieme a Gossolengo e lavoravano entrambi ma a un certo punto, più o meno dalla fine del 2008, il tunnel della droga nel quale si era infilato il ragazzo aveva iniziato a risucchiare ogni cosa, prima di tutto l’occupazione: ha smesso di lavorare e passava le sue giornate a fumare cocaina pagandola prima con i soldi che aveva in banca e poi con quelli della sua fidanzata. La quale, naturalmente, ha tentato di contrastarlo in ogni modo, «prima di tutto perché non volevo vederlo così», come ha testimoniato questa mattina in un aula del tribunale di Piacenza dove è iniziato il processo a carico, per l’appunto, del suo ex che oggi ha 29 anni.

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Deve rispondere di una sfilza di reati che rischiano di costargli anni di galera; si parla di sequestro di persona, lesioni aggravate, furto, rapina, violenza privata e indebito utilizzo di carta di credito. Lui però in aula non c’era ed è stato dichiarato contumace dal giudice Adele Savastano. A rappresentarlo c’era l’avvocato Carlo Alberto Caruso, nominato d’ufficio. «Non ho mai avuto il piacere di parlare con il mio assistito» ha detto a margine del processo. Il che fa capire che probabilmente l’imputato ha altre priorità. All’epoca dei fatti che gli sono costati il rinvio a giudizio la sua priorità era la cocaina. E questo pare fuori discussione. E’ stato lo stesso maresciallo Roberto Guasco, comandante dei carabinieri di Rivergaro, a testimoniarlo: quando è entrato nell’appartamento che la donna divideva con l’allora convivente c’erano tracce inequivocabili del consumo di coca. E sempre nella stessa occasione Guasco si è trovato davanti la donna con il volto tumefatto e un labbro rotto: era stato il fidanzato di fronte al rifiuto di lei di dargli l’ennesima somma di denaro per andare a comprare la “roba”. «Una manata in faccia» l’ha definita la donna, incalzata dalle domande del pm Arturo Iacovacci e soprattutto del giudice Savastano, determinata a definire i contorni di una vicenda che potrebbe davvero costare anni di galera all’imputato contumace. 

Una vicenda che parte da un primo referto medico: la donna, classe ’75, finisce in ospedale con fratture multiple alle costole. Era stato il convivente, pare. Botte per non essersi prestata a “finanziare” il suo vizio. O meglio, i suoi vizi: la droga ma, a quanto pare, anche il poker. Migliaia di euro che il giovane avrebbe sottratto alla convivente usando le sue tessere bancomat e le sue carte di credito senza che lei ne sapesse niente.

L’episodio cruciale si verifica il 10 luglio. In aula lo descrive la parte lesa: si emoziona ancora e stenta a ricordare le sue stesse parole che in quelle ore aveva fatto verbalizzare dai carabinieri, tant’è che il giudice la invita più volte alla calma. Alla fine il quadro è comunque chiaro: lite furibonda nella notte tra il 9 e il 10 luglio, lui vuole soldi lei non glieli dà e lo insulta, dice che non si può andare avanti così, lui reagisce male e la colpisce (labbro rotto, una settimana di prognosi); poi, stando alle accuse, le ruba la carta di credito, il cellulare, le chiavi della Mini Cooper, quelle di casa ed esce chiudendo la porta dall’esterno. La donna è bloccata, da qui l’accusa di sequestro. Per ore non può muoversi e non può telefonare (l’appartamento non ha una linea fissa).

«Intorno alle otto del mattino vedo passare sotto la finestra un uomo di colore e decido di urlare per attirare la sua attenzione – racconta in aula la ragazza – Lui accetta subito di aiutarmi e con il suo cellulare telefona al numero che gli dico stando alla finestra». E’ il numero di un amico della donna che ha una copia della chiavi di casa sua. Poco dopo arriva e le porta anche un cellulare nel quale la 34enne inserisce un’altra sim card di cui era intestataria e inizia a chiamare il suo fidanzato: «Volevo che tornasse a casa..». Qualcuno telefona ai carabinieri (non la donna, ha poi precisato) che dunque intervengono e ricostruiscono la vicenda. Lei si ostina a non voler sporgere denuncia ma i reati sono comunque procedibili d’ufficio e il giovane viene prima indagato e poi rinviato a giudizio. La storia con la 34enne non finisce, però. Tra alti e bassi va avanti ancora un anno poi le cose degenerano e i due si lasciano definitivamente.

Dopo il maresciallo e la parte lesa oggi hanno testimoniato la madre della ragazza, l’amico arrivato in suo soccorso quando era chiusa in casa e il passante africano che l’aveva vista chiedere aiuto dalla finestra. Tutte le versioni concordano con la ricostruzione dell’accusa.

Il giudice ha quindi aggiornato l’udienza al 18 giugno per capire meglio gli accessi dell’imputato ai conti correnti della sua ex fidanzata e a tal fine ha chiesto un’integrazione delle prove.