
Tra i grandi solisti protagonisti della Stagione Concertistica 2012/2013 della Fondazione Teatri, sabato 23 febbraio alle ore 20,30 al Municipale, il violoncellista Mischa Maisky interpreterà per il pubblico di Piacenza il Concerto n.1 di Sostakovic e l’Aria di Lenskij dall’Evgenij Onegin di Caikovskij, nella sua trascrizione per violoncello e orchestra. A guidare la Filarmonica Toscanini, il direttore della New Israeli Opera Asher Fisch, che completerà la serata con la Sinfonia n.7 di Beethoven.
L’opera Evgenij Onegin ispirato al romanzo di Puskin fu data al Teatro Malyj di Mosca il 29 marzo 1879. I giudizi furono contrastanti, ma a Caikovskij, che era all’estero, evidentemente riferirono solo quelli favorevoli, se scrisse alla sua grande mecenate, Nadješda Von Meck: “Ho avuto da Mosca una notizia assai lieta: il primo atto dell’Onegin ha mandato in visibilio i miei amici, fra i quali era anche Rubinstein. Ero assai inquieto nell’attesa di questo giudizio; ora sono molto, molto rassicurato”. L’Aria di Lenskij nella trascrizione per violoncello e orchestra di Mischa Maisky si trova all’inizio del secondo quadro del secondo atto. Introduce un Andante dell’orchestra che tratteggia con spiccata sensibilità timbrica, l’atmosfera dell’alba nella pianura nevosa. Nella continuità di questo quadro, il musicista dà prova di un mestiere sopraffino nel bilanciare le esigenze del melodramma con le esigenze della voce, conferendo, ad una figura come quella di Lenskij, uno spessore drammatico degno di particolare attenzione, fra le settime diminuite degli ottoni e i tremoli degli archi.
Il Primo Concerto per violoncello e orchestra op. 107, composto nel 1959 in soli quaranta giorni, è stato dedicato dall’autore al violoncellista Mstislav Rostropovic, che lo presentò al pubblico il 4 ottobre dello stesso anno nella Sala Grande della Filarmonica di Leningrado. E’ suddiviso in quattro movimenti: al primo tempo (di considerevoli dimensioni) si contrappongono gli altri tre che si susseguono senza soluzione di continuità. Rostropovic era già stato il primo interprete nel 1952 di un altro lavoro per violoncello e orchestra di Prokof’ev, che in qualche modo costituì una pietra di paragone per Sostakovic, come lo stesso compositore ebbe a dire ancor prima del debutto della partitura: «Questo Concerto fu concepito in origine già da lungo tempo. Il primo impulso venne dall’ascolto della Sinfonia concertante per violoncello e orchestra di Prokof’ev, che trovai sommamente interessante e che suscitò in me il desiderio di cimentarmi a mia volta in questo genere». L’Allegretto iniziale del Concerto n.1 per violoncello contiene il motto legato al nome dell’autore D[mitri] SCH[ostakovic], ovvero D-eS-C-H, re-mi bemolle-do-si, dando luogo a un tema dal sapore piuttosto popolare; la propulsione ritmica ostinata, dovuta anche ai forti contraccolpi dell’orchestra, rimane continuativamente per tutto il movimento, attribuendogli la connotazione di marcia grottesca. Il Moderato, che funge da secondo tempo, è la pagina più estesa e intensa del Concerto: un tempo lento che si basa su due temi, una sorta di Berceuse russa e una melodia più elegiaca. Il terzo movimento consiste interamente nella Cadenza solistica; vi troviamo accordi, polifonie, nude melodie, pizzicati, escursioni in tutti i registri, secondo un percorso che dall’elegia iniziale si accende e si intensifica progressivamente, lasciando a tratti trasparire il “motto”. Senza soluzione di continuità l’orchestra attacca l’Allegro con moto conclusivo, movimento molto legato a quello iniziale, per il carattere grottesco e popolare, ancor più accentuato dai frequenti cambiamenti metrici e dall’ingresso dei timpani.
La Sinfonia n. 7, scritta a distanza di tre anni dalla Sinfonia “Pastorale”, tra il 1811 ed il 1812, non ha una linea di continuità con le precedenti sinfonie, che furono composte dal 1801 al 1808 senza interruzione. Tra il 1809 e l’inizio della composizione della nuova sinfonia, Beethoven aveva portato a termine il Concerto per pianoforte n. 5 l’ultimo, (1809), le musiche per l’Egmont di Goethe completate intorno al 1810, il Quartetto in fa minore op. 95, dello stesso anno. La prima esecuzione ebbe luogo l’8 dicembre del 1813 nella sala grande dell’Università di Vienna per un concerto di beneficenza. Richard Wagner la cita in L’opera d’arte dell’avvenire «coscienti di noi stessi, ovunque ci inoltriamo al ritmo audace di questa danza delle sfere a misura d’uomo. Questa Sinfonia è l’apoteosi stessa della danza, è la danza, nella sua essenza più sublime». Danza quindi, come sublimazione di una essenza ritmica, che percorre tutta l’opera in un graduale e costante crescendo d’intensità metrica, da una lenta messa in moto fino al massimo dell’eccitazione. Significativa caratteristica di questa Sinfonia è l’assenza d’un tempo propriamente lento; in sua vece è l’Allegretto che non costituisce rispetto agli altri tempi un contrasto reale, è solo un episodio fra i tanti. Ma riceve uno spicco particolare dalla sua andatura immateriale, un lirismo di natura contemplativa. L’irruzione del Presto rinnova il vitalismo del primo movimento dove Beethoven ricorre ad un uso massiccio della ripetizione, quindi il Finale della Settima, l’Allegro con brio, che Wagner definì: «Con una danza agreste ungherese Beethoven invitò al ballo la natura; chi mai potesse vederla danzare crederebbe di vedere materializzarsi di fronte ai suoi occhi un nuovo pianeta in un immenso movimento a vortice».