Il garante Gromi: “Solo per il 5% dei detenuti il carcere è rieducativo”

La situazione del carcere piacentino delle Novate è analizzata in sede di commissione consiliare oggi, giovedì 17 gennaio, con l’audizione del garante dei detenuti di recente riconfermato dal sindaco Paolo Dosi. Una situazione che merita grandissima attenzione, secondo il garante Alberto Gromi, soprattutto dopo la sentenza della Corte europea di Strasburgo che condanna l’Italia per il problema del sovraffollamento anche “per colpa” delle condizioni in cui vivono i carcerati della casa circondariale piacentina.

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Qualche dato: al 27 dicembre i detenuti del carcere della Novate di Piacenza sono 326. «Rispetto al 2010 il problema del sovraffollamento è decisamente ridimensionato – ribadisce Gromi – anche si è ancora lontani dall’ottimale. Nella sezione comune ci sono pochissime celle con tre detenuti; la gran parte ospitano due detenuti, anche se – lo ricordiamo – sono per uno».  

Secondo Gromi, tuttavia, la vera piaga è un’altra. «Ho ribadito più volte la mia preoccupazione  – ha detto – Il problema del sovraffollamento è un problema gravissimo ma se anche ogni detenuto avesse una cella da albergo a cinque stelle, ciò non cambierebbe il più grave dei problemi del carcere piacentino e in genere dei penitenziari italiani, e cioè la carenza del programma di rieducazione». A margine della commissione, il garante ha dato la misura di quanto in effetti risulti carente la rieducazione dal suo punto di vista: «Direi che ogni 100 detenuti la pena può dirsi rieducativa per cinque, massimo dieci di loro»

E ancora: «Come può attuarsi la rieducazione se non c’è tempo e modo per riflettere sulla loro colpa, se non c’è nessuno che li aiuta? Per quanto riguarda gli educatori a Piacenza sono quattro per tutti i detenuti: è già più di qualche anno fa ma non è assolutamente sufficiente. Facendo i conti, lavorando tantissimo, ben oltre gli orari prestabiliti, a ogni detenuto possono essere dedicati tre minuti al massimo».

Indicativa in tal senso la testimonianza di un detenuto, riferita dallo stesso garante: “Come posso aprirmi con la psicologa se so che poi il percorso che inizio non proseguirà? Quindi non parlo”. Ed ecco spiegata la frase con la quale molto spesso si esauriscono le relazioni degli specialisti: «Il detenuto non collabora»

E’ fondamentale in questo senso la responsabilizzazione del detenuto, secondo il garante. «Ora il detenuto non decide nemmeno a che ora fare la doccia – spiega Gromi – La prima cosa da fare è un patto di responsabilità con i detenuti. Esiste una circolare ed è stata chiamata la circolare delle “celle aperte”. Se invece che tenerli chiusi in cella per 20 ore, le celle venissero aperte ora come ora non ci sarebbero spazi dove riunirli. Bisogna lavorare in questo senso”

Tornando sul tema sovraffollamento, ricordiamo che la capienza regolamentare del carcere delle Novate è di 178 detenuti ma ce n’è anche una, per così dire, tollerata di 346 detenuti. Quindi ora si è sotto la cosiddetta capienza tollerata anche se, si chiede Gromi, non si capisce in base a che criterio si stabilisce la tollerabilità.

La seduta della commissione è poi proseguita con gli interventi dei consiglieri commissari. Dopo le testimonianze e valutazioni di Vittorio Curtoni e Giovanni Castagnetti (che ha ricordato l’esempio virtuoso del carcere di Bollate), ha preso la parola il consigliere Marco Colosimo che ha chiesto cosa possa fare di concreto un Comune, e non lo Stato centrale spesso troppo lento, per i detenuti e il loro reinserimento in società. Un problema serio rispetto al quale, secondo Colosimo, a Piacenza sono ancora forti i pregiudizi: «L’opinione pubblica va educata a comprendere la questione in modo corretto» ha detto.

Lucia Rocchi ha posto alcune domande, tra le quali la curiosità di sapere chi abbia aiutato nel ricorso alla Corte di Straburgo i detenuti piacentini che l’hanno presentato.

Paolo Garetti pone un problema così come viene sentito dalla gente, sulla strada. Invece che tenere chiusi in cella i detenuti venti ore al giorno, non è possibile mandarli a fare lavori utili per la comunità?

Giulia Piroli, presidente della commissione, ha sottolineato un dato e ha invitato alla riflessione: è più difficile la ricaduta nei reati se i detenuti scontano pene alternative rispetto al carcere.

Giovanna Palladini, assessore comunale al welfare, ha fornito una prima risposta ai quesiti di Colosimo che chiedeva cosa possano fare i comuni rispetto ai problemi del carcere. «Va chiarito che i Comuni non hanno giurisdizione in strutture che dipendono direttamente dall’amministrazione penitenziaria e non devono rendere conto alle amministrazioni comunale. Possiamo svolgere diverse attività, comunque. Una di queste è nominare, ad esempio, il garante. Possiamo poi finanziare determinate attività per i carcerati, possiamo svolgere un ruolo di mediazione eccetera..». Giovanna Palladini ricorda la funzione del volontariato, importantissima, e sottolinea come in un certo senso lo stesso garante – caso rarissimo in Italia – sia volontario visto che non viene pagato.