La musica di Igor Stravinksij sarà protagonista del prossimo appuntamento con la Stagione Concertistica 2012/2013 del Teatro Municipale, giovedì 17 gennaio alle ore 20,30.
Andrey Boreyko dirigerà Pétrouchka e il Concerto in re per violino e orchestra, affidato al solista russo Sergej Krylov, che torna ad esibirsi con la Toscanini a due anni dalla sua ultima apparizione. Ad apertura di serata le Variazioni sinfoniche di Witold Lutoslawski, del quale nel 2013 ricorre il centenario della nascita.
Composte nel 1938 le Variazioni Sinfoniche di Witold Lutoslawski, costituiscono la prima testimonianza del talento del suo creatore del quale quest’anno si festeggiano i cento anni dalla nascita. Fra i compositori preminenti in Europa a metà del secolo scorso, Lutoslawski compose le Variazioni tra il 1936 e il 1938 e sono l’unico manoscritto fortunosamente sopravvissuto ai tanti esodi cui il musicista polacco fu costretto in gioventù; fu infatti perseguitato politico, esule, soldato, detenuto. Destinata a segnare il debutto internazionale e a rappresentare nella sua carriera un precoce esercizio di innovazione, quest’opera, è segnata da una genesi affatto originale. Scritta all’epoca in cui il compositore frequentava le lezioni di Witold Maliszewski al Conservatorio di Varsavia, quando fu presentata al suo insegnante, Lutosławski si sentì rispondere senza mezzi termini: «A mio giudizio, la sua opera è brutta sotto tutti gli aspetti». Un giudizio decisamente tranchant, che però dimostra quanto quest’opera fosse innovativa per l’epoca in cui venne composta. Oggi le Variazioni Sinfoniche di Lutosławski sono considerate tra i principali caposaldi della tradizione europea delle variazioni e un primo convincente saggio delle armonie al tempo stesso fantasiose ed essenziali che caratterizzarono lo stile del grande compositore polacco e della sua straordinaria propensione al virtuosismo e ai colori orchestrali. La prima esecuzione dell’ aprile 1939 rappresenta per Lutoslawski, il suo debutto ‘ufficiale’ come compositore.
Sono invece pregnanti le peculiarità del linguaggio strumentale barocco nel Concerto in re per violino e orchestra di Igor Stravinskij, a cominciare dall’articolazione formale dettata dal dialogo fra il solista e l’orchestra, per frammentarsi in un ambito più particolare del discorso, come l’impiego reiterato di alcune cellule ritmiche assai caratterizzanti e del contrappunto. Un programma stilistico che, più che essere un gioco di rievocazione storica, qui si compie per il suo senso di rigorosa oggettività e per le implicazioni strutturali che un lungo e fruttuoso studio della produzione sei/settecentesca (di certo non ancora terminato in quegli anni) ha potuto motivare.
Come i nomi dei suoi movimenti rinviano immediatamente a quel passato musicale, la tonalità dichiarata nel titolo mette istantaneamente questo concerto in una linea progressiva che procede da tutti i concerti per violino e orchestra della Storia. Allo strumento solista tocca il motto d’esordio, un medesimo accordo di tre note che per quattro volte introduce ogni sezione, come un passaporto: così lo definì lo stesso autore, che lo aveva ideato in un ristorante di Parigi. Nei primi mesi del 1931 a Wiesbaden Stravinskij ebbe spesso modo di incontrare Willy Strecker, direttore della casa editrice Schott, che lo invitò a scrivere un concerto per il violinista Samuel Dushkin, polacco ma adottato dal diplomatico-compositore americano Blair Fairchild. Stravinskij si mostrò perplesso: non aveva una conoscenza ottimale dello strumento; Strecker convinse il compositore permettendogli di lavorare fianco a fianco con lo strumentista, per agevolare il procedimento. Iniziò così una frequentazione quasi quotidiana fra il ‘virtuoso’ e il compositore e in breve si stabilì un’intesa magnifica, dove Stravinskij entrava sempre più fisicamente nell’idiomatismo dello strumento, mentre Dushkin si lasciava guidare con costanza e intelligenza in questa sorta di sperimentazione. Difatti, il sodalizio tra i due non si limitò a questa circostanza e a Dushkin saranno indirizzate diverse altre composizioni. Il Concerto fu terminato a settembre e la prima esecuzione si tenne il 23 ottobre 1931 a Berlino, con i suoi ‘due autori’ e l’Orchestra della Radio berlinese sul palco.
Pétrouchka fu composta durante l’inverno del 1910-1911 per i Balletti russi di Sergej Diaghilev e fu eseguita per la prima volta al Théâtre du Chatelet di Parigi il 13 giugno 1911. Rappresenta uno tra i primi fermenti di rinnovamento della danza classica del Novecento. Forse per questo, nonostante il successo della rappresentazione, alcuni critici furono spiazzati dalle musiche impervie, dissonanti, talvolta grottesche.
Nel 1947, trentacinque anni dopo la prima esecuzione, Stravinskij interviene nuovamente su Petruška: l’obiettivo è di ridimensionarne la consistenza per renderla eseguibile in modo autonomo rispetto alle esigenze sceniche; ma l’effetto non è propriamente quello della riduzione a suite di tante opere e musiche di balletto. Già nel 1921 da questo balletto aveva tratto i Trois mouvements per pianoforte solo, destinati (o confezionati su misura?) per Arthur Rubinstein. In questa nuova veste orchestrale non sono abbreviate le sue dimensioni temporali, ma ad assottigliarsi è l’organico orchestrale, mentre il pianoforte ottiene un maggiore spazio e in tal modo riaffiora l’idea primordiale di Konzertstück che l’autore aveva abbozzato prima che Sergej Djaghilev lo esortasse a farne un balletto.
Il congegno messo a punto da Stravinskij per i Ballets Russes è una macchina perfetta, mai prevedibile. A cominciare dal primo quadro si sussegue un numero imprecisato di citazioni melodiche raccolte in modo indiscriminato: canti religiosi russi, valzer di organetti di Barberia, canzoncine leggere da café chantant (“La jambe en bois”), alternati a rumori frenetici, al vociare della folla, alla simulazione acustica di una fisarmonica e tanto altro.