“Il lago dei cigni” apre la Stagione di Danza del Teatro Municipale

Sarà aperta con il Lago dei cigni, uno tra i balletti classici più amati, la Stagione di Danza 2012/2013 del Teatro Municipale di Piacenza realizzata dalla Fondazione Teatri di Piacenza in collaborazione con Aterdanza. Una stagione che, articolata in cinque appuntamenti, prevede prestigiose compagnie e danzatori come Aterballetto, Ailey II, un gruppo di ballerini del teatro alla Scala istruiti da Giuseppe Carbone e un talento emiliano come la Compagnia Artemis/Monica Casadei che nel Bicentenario della nascita di Verdi presenterà il progetto Traviata.

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Il Lago dei cigni musica di Cajkovskji e la coreografia di Marius Petipa, Lev Ivanov sarà di scena il 13 gennaio alle ore 16, con il Balletto di San Pietroburgo compagnia che racchiude tutto ciò che contraddistingue la Scuola russa del balletto classico, in quanto unisce tradizione e contemporaneità, tecnica e capacità espressiva.

La Compagnia è composta da solisti di San Pietroburgo e da ballerini del Balletto del Teatro di Stato Accademico di Samara. La storia del Balletto di Samara inizia il primo giugno 1931 con la direzione di Eugenia Lopuhova, solista del Balletto del Teatro Mariinskij e componente della leggendaria compagnia “Ballets Russes” di Sergej Djagilev a Parigi. Nel corso degli anni noti nomi della danza russa hanno diretto la compagnia, tra cui Alla Šelest, famosa ballerina del Balletto Mariinskij.

Attualmente il Balletto di San Pietroburgo è diretto da Kirill Šmorgoner, artista emerito di Russia, coreografo, insignito di numerosi premi e riconoscimenti, per lungo tempo membro del Balletto di Stato di Perm. La compagnia, che si avvale della collaborazione di Vjačeslav Okunev che ha curato le scene e i costumi di varie produzioni del Teatro Mariinskij e del Teatro Bol’šoj, è spesso in tournée in Russia e all’estero.

Il Lago dei cigni è il primo balletto della celebre triade musicata da Cajkovskji (con La bella addormentata e Lo schiaccianoci), ma ultimo a essere definito coreograficamente da Petipa, realizzato quasi vent’anni dopo la composizione della partitura e del libretto, e dopo ben tre versioni coreografiche fallimentari (Reisinger, 1877; Hansen, 1880 e 1882). Una volta incaricato dal principe Vsevolojskij, al tempo direttore del Mariinskij, Petipa affida al suo assistente, Lev Ivanov, una prima versione del solo secondo atto che va in scena il 17 febbraio 1894, proprio pochi mesi dopo la morte di Cajkovskji. In seguito Petipa rivede il libretto e la partitura, aggiunge brani pianistici di Cajkovskji orchestrati da Drigo, il quale vi aggiunge anche pagine di sua composizione per il grand pas de deux. La coreografia è creata in collaborazione tra Petipa e Ivanov: ma lo stile del maestro francese è evidente nella costruzione a intermezzi, con una forte presenza pantomimica nel primo atto e nelle danze di carattere del terzo. A Ivanov invece è dovuto il marcato lirismo del secondo e del quarto atto. Dal punto di vista drammaturgico, il plot è da subito destinato a una lunga futura fortuna: sia perché il ruolo della protagonista è sdoppiato anche nel suo polo negativo (Odette/Odile), e sia perché la sua fisicità non è mai veramente compiuta, sempre in transito tra umanità e animalità (donna/cigno), tra realtà e mondo fantastico. Anche il lago che imprigiona e incanta rappresenta la prossimità dell’abisso e l’incombere dell’arcaico, mentre il Principe che non riesce a crescere, e dunque a scegliere, forse ad amare, è messo alla prova di un difficile giuramento che allude simbolicamente anche a tutte le inquietudini che investono la regalità, in questo caso la Regina madre, e i complessi passaggi di sovranità.

Una tale invenzione, sulla soglia della modernità, e poi nel secolo della psicanalisi e dell’irruzione dei discorsi sulla liberazione del corpo e delle identità, non poteva che trovare terreno fertile per innumerevoli adattamenti, reinvenzioni, decostruzioni e riscritture coreografiche, non meno che filmiche, capaci di capitalizzare, in termini culturali, tutta la forza che ogni più vero classico ha di interrogare sempre in forme nuove, nel tempo, il presente.