I dipendenti sul tetto di Atlantis: “Ci tolgono il lavoro e la dignità”

AGGIORNAMENTO 8 gennaio ore 8.30 – Sono sul tetto dell’Atlantis da ieri pomeriggio alle 14 “e non ci hanno dato nemmeno qualcosa per riscaldarci”, ha spiegato Franco Pucci, uno dei sei dipendente dell’azienda di Sariano di Gropparello in protesta. “Ci hanno fatto un ricatto: o accettate 6mila euro lordi, 3mila dopo 21 mesi e 3mila per un corso di specializzazione, o verrete licenziati” ha detto Pucci che, insieme ai compagni Franco Cobanu, Maurizio Piazza, Kompauri Musha, Leon Lazzari e Ballo Sekou, è pronto a rimanere in protesta sul tetto fino a quando non arriverà un’offerta migliore per ovviare alla chiusura della fabbrica. “Mai ci saremmo aspettati la chiusura della ditta. Poi ci hanno dato la notizia tramite i giornali e noi siamo scoppiati e non ce la facciamo più. Ci hanno tolto il lavoro ma non la dignità” ha sottolineato il dipendente Atlantis, nel commentare l’atteggiamento del gruppo Azimut-Benetti in questi mesi. (In allegato i collegamenti in diretta con Radio Sound)

Radio Sound

LA NOTTE – Non è stata una nottata facile, per i sei dipendenti che l’hanno passata sul tetto della ditta: “Ci siamo arrangiati con una tenda da campeggio, un secchio con la nafta e un po’ di legna – ha spiegato Franco Cobanu, contattato telefonicamente – Non abbiamo coperte, un sacco a pelo e avevamo solo i vestiti che indossavamo. Abbiamo mangiato ieri in mensa e poi un pacco di grissini diviso tra noi”. Una situazione al limite e una protesta che pare improvvisata, o arrivata per disperazione, dopo la lettera arrivata dall’azienda che li metteva con le spalle al muro: o si accetta la buonuscita e il trasferimento o addio agli ammortizzatori sociali e al posto. “Ho una famiglia, con due bambini e li ho lasciati senza dirgli niente. Neanche a mia moglie l’ho detto, non avrebbe accettato. L’ho fatto perché non voglio andare in mezzo a una strada” ha detto Ciubano ai nostri microfoni, il quale si è poi augurato “che il sindacato e le istituzioni raggiungano il miglior risultato per noi. Basta minacce, siamo dipendenti, abbiamo arricchito il patrimonio della ditta e vogliamo essere trattati con dignità”. 

 

NOTIZIA 7 gennaio – I lavoratori di Atlantis non ci stanno e bloccano l’azienda. “Basta minacce e ricatti” urlano dal pomeriggio i 180 lavoratori Atlantis che presto resteranno senza il posto di lavoro: esasperati dall’atteggiamento dei vertici Azimut-Benetti, hanno deciso di occupare lo stabilimento di Sariano di Gropparello. Nel pomeriggio sei di loro sono saliti sul tetto e da lì stanno manifestando, dopo aver bloccato la produzione. La protesta nasce da una lettera, inviata dall’azienda ai lavoratori, in cui in sostanza viene dato un ultimatum perché accettino il trasferimento a Torino: in altre parole, visto che lo stabilimento di Sariano di Gropparello chiuderà, la dirigenza di Atlantis ha proposto ai 180 lavoratori dello stabilimento piacentino di trasferirsi allo stabilimento Atlantis di Avigliana (Torino). Se i lavoratori non accettano, nella pratica rifiutano una proposta lavorativa aziendale e perdono il diritto alla cassa integrazione. Ma i lavoratori sono di un altro parere: “Sono anni che lavoriamo qui a Piacenza, e se lo stabilimento chiude crediamo di avere diritto alla cassa integrazione qui, dove abbiamo sempre lavorato. Non possono costringerci a compiere un passo impegnativo come trasferirci a Torino con l’avvertimento che in caso di rifiuto non godremo di alcun ammortizzatore sociale. Questo è un vero e proprio ricatto”. 

Inoltre i dipendenti piacentini sollevano un altro problema: nello stabilimento Atlantis di Torino ci sono già circa 500 lavoratori in cassa integrazione: “Per quale motivo allora dovremmo trasferirci lì?” si chiedono. “Noi vogliamo restare a Piacenza, con un equo piano di ammortizzatori sociali”. Per questo gli operai di Sariano di Gropparello hanno occupato la fabbrica nautica – che produce imbarcazioni di lusso –  e alcuni operai sono saliti sul tetto.

“L’azienda non rispetta accordi che sono stati presi al ministero del Lavoro”, è la convinzione dei dipendenti in protesta, i quali hanno sottolineato l’atteggiamento di minaccia dei vertici: “In seguito all’incontro nella sede di Confindustria il loro piano sociale era stato bocciato perché insufficiente a garantirci tutti – dicono a gran voce – ora ci fanno sapere che, se non accettiamo il trasferimento, ne conseguirà il licenziamento per giusta causa. Non siamo disponibili ad altri ricatti”.

Un clima di tensione, che nasce dalla volontà del gruppo torinese di chiudere lo stabilimento piacentino, senza appello. La data ultima era stata fissata per il 31 dicembre 2012 ma, dopo lunghi tavoli di confronto con le istituzioni, erano stati dati altri due mesi di tempo per trovare una soluzione e avviare gli ammortizzatori sociali. Ma l’azienda non sembra voler seguire questa strada: “Avevano assicurato una riorganizzazione, sottoscrivendo un accordo al ministero dello Sviluppo economico – precisa Mara Bertocchi della Rsu di Atlantis – ed era compresa la cassa integrazione straordinaria. Noi siamo scesi a patti, facendo ripartire il trasferimento delle imbarcazioni e loro ci mandano una lettera ultimatum del genere? Non ci stiamo, chiediamo che il tavolo di confronto sia riattivato, ma sgombro da ricatti e minacce”.

Conclusa la manifestazione, i dipendenti si sono riuniti in assemblea per darsi una linea comune, in vista dell’incontro che si terrà mercoledì in Provincia. Per ora hanno deciso che la lotta continuerà, con il blocco e l’occupazione del tetto dello stabilimento, fino a mercoledì. Poi, a seconda di come andrà la discussione in via Garibaldi alla presenza dell’assessore al Lavoro Andrea Paparo, decideranno come muoversi. Certo è che, per le prossime due notti, i sei lavoratori rimarranno in cima ad Atlantis: è infatti già arrivato tutto il necessario per allestire l’accampamento, dalle tende, ai fornelletti, fino ad arrivare ai generi di prima necessità.

Verso le 18, la moglie di un lavoratore deciso a restare sul tetto dello stabilimento si presenta davanti ai cancelli per accertarsi della salute di suo marito, lo chiama al telefono cellulare e chiediamo alla donna di poter parlare anche noi con lui. “Sappiamo che sarà una sfida molto dura – spiega – ma noi non accettiamo ricatti, vogliamo, pretendiamo siano rispettati i nostri diritti. Non ce ne andremo da qui finché l’azienda non tornerà sui suoi passi, garantendoci un pacchetto di ammortizzatori sociali equi e giusti”.