Si torna a parlare del delitto di Giuseppina Pierini, la donna di 63 anni uccisa, secondo l’accusa, dalla figlia Maria Grazia Guidoni e dal nipote Gino Laurini nel 2012. Il pm Roberto Fontana ha chiesto il rinvio a giudizio per entrambi, accusati di omicidio volontario premeditato aggravato dai futili motivi, dal fatto che la vittima fosse una familiare e dallo stato di salute di quest’ultima. Sempre per entrambi, poi, l’accusa di distruzione di cadavere. La richiesta verrà esaminata il prossimo 9 dicembre.
LE INDAGINI
E’ stato proprio il figlio, Gino Laurini, 22 anni all’epoca dei fatti, che con le sue rivelazioni ha permesso ai carabinieri di scoprire il brutale omicidio della pensionata Giuseppina Pierini, data per scomparsa nel luglio del 2012 a Pontenure e trovata cadavere il 13 novembre 2015 nel terreno di un cascinale abbandonato di Massa Marittima, in provincia di Grosseto. La Guidoni, secondo le risultanze investigative, avrebbe ammazzato la sua stessa madre facendo sparire il suo corpo e denunciandone la scomparsa per depistare le indagini; il tutto allo scopo di accaparrarsi la pensione dell’anziana (2.100 euro al mese) malata di Alzheimer. Sarebbe stato il delitto perfetto se non fosse stato per la coscienza del giovane Gino Laurini, all’epoca dei fatti 18enne. Proprio per togliersi un peso divenuto ormai insostenibile, il ragazzo – nel frattempo trasferitosi da Pontenure alla Toscana – si è autodenunciato e ha indicato ai militari dell’Arma il luogo esatto in cui si trovavano i resti della 63enne scomparsa.
LA RICOSTRUZIONE DELL’ATROCE DELITTO
E’ l’ora di pranzo. Maria Grazia Guidoni ha appena vuotato nel bicchiere della madre malata Giuseppina Pierini un mix di barbiturici. Ma vuole essere sicura che il suo piano omicida funzioni. Chiama al tavolo anche il figlio Gino e la nonna anziana sulla sedia a rotelle e iniziano a giocare a carte. Nel frattempo versa nei bicchieri dei commensali una sostanza alcolica, lo fa per dare più “potere” al cocktail della madre: “Benvenuti alla festa del condannato” afferma sorridendo più volte. Qualche ora dopo averle somministrato la bevanda, la Pierini inizia a sentirsi male. Ma non muore. E’ per quello che la Guidoni, sempre in base al racconto, decide di attuare un metodo ancor più deciso: prova a soffocarla con un sacchetto di nylon, ma la pensionata non cede. “Ma allora non è come nei film?” si chiede. E’ al quale punto che il figlio le avrebbe suggerito di chiudere il sacchetto con del nastro. Al termine di un’agonia tremenda, la Pierini spira. Verso mezzanotte madre e figlio decidono di prendere il corpo senza vita della congiunta, lo avvolgono in una coperta e lo caricano nell’auto già pronta in garage. A bordo ci sono anche una zappa, una pala – queste ultime acquistate poche ore prima in un market della zona – dell’acido e del cemento. Viaggiano verso Massa Marittima (Grosseto), alla volta di un vecchio casolare, una volta di proprietà della famiglia tanto che la vittima ci visse fino a pochi anni prima. L’edificio, in mezzo alla campagna, è abbandonato e avvolto nell’oscurità. Provano a seppellire, ma scavare una fossa non è così semplice come pensava la donna. Con la zappa provano a farla a pezzi (sul cranio segni di lesioni) e la cospargono di acido. Poi salgono al primo piano del casolare e decidono di gettarla in mezzo ai rovi. Risalgono in auto e all’alba del 4 luglio sono di nuovo a Pontenure. Poche ore dopo, alla caserma dei carabinieri del comune piacentino, viene denunciata la scomparsa della donna. Per mesi la Guidoni continuerà a ricevere ancora la pensione della madre visto che la denuncia di scomparsa mette fuori gioco assistenti sociali e amministratore di sostegno. Sarà quest’ultimo ad accorgersi che non aveva denunciato la scomparsa all’Inps e ad interrompere così l’erogazione del denaro sul conto della Guidoni.