Telefono Rosa affronta la dignità nella cultura di genere

Per la nona edizione del Festival Del Diritto che si tiene qui a Piacenza dal 23 al 25 settembre è stato scelto come tema centrale e filo conduttore di tutte le varie conferenze la parola Dignità. Ma che cosa significa veramente? E che importanza può avere per ognuno di noi?Durante la conferenza di venerdì 23 settembre tenuta dalle operatrici di ‘La città delle Donne’ che si occupano del Telefono Rosa di Piacenza, è stato affrontato il tema della dignità nella cultura di genere.                   Questo termine va a toccare aspetti da un lato molto intimi e personali delle nostre vite e da un altro anche sociali, in quanto la società ci propone un modello di dignità che noi possiamo decidere se accettare e quindi prenderlo come riferimento o meno.Le operatrici hanno intrapreso un percorso che può aiutare ognuno di noi a riflettere sul senso di questa parola, proponendone inizialmente il valore che ha avuto nella storia. Giuseppe Cesari nel 1568 rappresentò allegoricamente la dignità come un peso che la donna doveva portare sulle proprie spalle, proprio perché le donne hanno una rilevante importanza nella dignità sociale. La donna è sempre stata vista come ‘angelo focolare’, colei che tiene in mano la dignità della famiglia e che, se con i suoi poteri seduttivi, la sua sessualità (se espressa liberamente), il desiderio di andare fuori casa e di lasciare la famiglia, la sua intelligenza e la scoperta della sua libertà di scelta, decide di rompere quegli stereotipi può mettere irrimediabilmente in crisi la famiglia.                                                                                               Anche dalla chiesa la donna è sempre stata vista come madre e custode del creato.Purtroppo fino a circa quarant’anni fa alcune libertà della donna venivano ostacolate da alcune sezioni della costituzione italiana e tutto questo andava ad intaccare la sua dignità personale. Dato che la donna era tenuta alla fedeltà, fino al 1981 l’adulterio poteva essere punito, nella maggior parte dei casi dal coniuge in uno stato d’ira; era il delitto d’onore che è stato poi abrogato.                         Sempre nel 1981 fu abrogato anche il matrimonio riparatore, secondo il quale se lo stupratore si offriva di sposare la vittima si estingueva la sua pena, perciò molte donne furono costrette ad accettare di sposare coloro che le avevano violentate. Nel 1970 Franca Viola, una ragazza che all’età di soli 17 anni era stata rapita e stuprata, grazie al sostegno della famiglia si rifiutò di sposare l’uomo che l’aveva violentata.                                                                                   Nel 1979 il secondo processo per stupro, dopo quello del massacro del Circeo, venne trasmesso alla Rai sotto forma di documentario e venne intitolato ‘Processo per stupro’.                                                                                           La vittima era una ragazzina di diciotto anni che a seguito di questo processo ricevette sostegno dall’intero mondo femminile e l’avvocatessa Tina Lagostena Bassi riuscì ad ottenere il divieto di domande sul passato sessuale della vittima quando veniva interrogata in aula.                                                                                                 Dal 1996 L’abuso sessuale diventò un reato alla persona nel codice penale, mentre prima era una reato contro la morale pubblica.Nel 1979 venne istituito il tribunale Otto Marzo che era costituito da un gruppo di donne, che invitavano le altre donne a segnalare stupri e violenze.                                                                                                                           Sulle ceneri del tribunale Otto Marzo nel 1994 nacque a Piacenza l’associazione ‘La città delle donne’ e nel 1996 nacque ‘Telefono Rosa’.                                                                                                                                           Inizialmente le donne faticavano a querelare i casi di stupro, con l’arrivo di queste associazioni iniziarono a denunciare le violenze subite per via telefonica e ora le donne si presentano nelle strutture per chiedere aiuto. Le vittime di violenza in questi centri ricevono l’assistenza delle operatrici che tramite un lungo percorso le aiutano a riprendersi e a superare l’accaduto.                                                                                                                                                Il criminale violentando la donna rinuncia alla sua dignità e la toglie pure alla sua vittima, facendole perdere la sua autostima e privandola dei suoi sogni, delle sue speranze e della sua libertà.
Uno dei compiti delle operatrici è proprio quello di far ritrovare alla donna la sua dignità smarrita ma che, nonostante questo, le appartiene come valore intrinseco.                                                                                                     Come diceva una delle operatrici, le donne dopo un lungo percorso rifioriscono, prendono maggiore consapevolezza dell’accaduto e quei sensi di colpa che prima le tormentavano iniziano a scomparire.    Ognuno di noi ha dei diritti e dei valori che ci rendono esseri umani e che ci definiscono e uno dei più importanti è proprio la dignità, che ci apparterrà sempre, anche quando ci sembrerà di averla persa irreparabilmente.  

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Martina Tramelli, redazione “L’acuto”, liceo “M. Gioia”, 4ª linguistico F

(foto Del Papa)