“Se venisse confermato il contesto in cui si è consumato l'omicidio di Jaghtar Singh, siamo di fronte ad una situazione grave che, al di là degli aspetti penali, interroga tutti” così si esprime la Cgil. “Come pare accertato dai carabinieri nelle loro brillanti indagini che hanno portato a ricostruire i fatti in 72 ore, tutti i lavoratori percepivano una regolare busta paga. A questo punto, seppur nell'attesa che si esprima il giudice per le indagini preliminari sulla vicenda, non si capisce come mai uno facesse da intermediario per gli altri quattro. Un meccanismo non chiaro attorno al quale gli inquirenti – non abbiamo dubbi – faranno piena luce” continua il sindacato.
“Sui temi del caporalato, balzati agli onori della cronaca con situazioni lampanti in Puglia e Latina, anche la nostra provincia deve tenere la guardia alta. Siamo tutti avvisati. Per fare in modo che contesti del genere non si creino più, serve la collaborazione di tutti e delle associazioni datoriali agricole in particolare”.
IL COMUNICATO DELLA CGIL
Se venisse confermato il contesto in cui si è consumato l'omicidio di Jaghtar Singh, siamo di fronte ad una situazione grave che, al di là degli aspetti penali, interroga tutti.
Interroga le parti sociali e le istituzioni: serve la collaborazione di tutti, a partire dalle associazione agricole, per creare un clima non solo legislativo, ma culturale che prevenga un isolamento sociale che, anche nel nostro territorio, può trasformare degli sfruttati in assassini – presunti innocenti, fino a prova contraria.
Sui temi del caporalato, balzati agli onori della cronaca con situazioni lampanti in Puglia e Latina, anche la nostra provincia deve tenere la guardia alta. Siamo tutti avvisati.
Ad onor del vero, come Flai Cgil e come Camera del Lavoro di Piacenza, non abbiamo avuto sentore di fenomeni di caporalato, fino a qui, nel mondo agricolo locale. Almeno nel “modello classico”, con braccianti sul ciglio della strada come carne da macello: manodopera a basso costo, braccia da impiegare a giornata, caricate sui furgoni dai caporali e impiegate con paghe da fame nei campi o nelle stalle.
Nella tragica vicenda di questi giorni si profila un tipo di sfruttamento differente, ma non meno grave.
Ad una busta paga personale, deve corrispondere il pagamento all'interessato dell'emolumento.
Come pare accertato dai carabinieri nelle loro indagini (brillanti) che hanno portato a ricostruire i fatti in 72 ore, tutti i lavoratori percepivano una regolare busta paga. A questo punto, seppur nell'attesa che si esprima il giudice per le indagini preliminari sulla vicenda, non si capisce come mai uno facesse da intermediario per gli altri quattro. Un meccanismo non chiaro attorno al quale gli inquirenti – non abbiamo dubbi – faranno piena luce.
La domanda che ha assalito il sindacato quando si è avuto chiaro il contesto del delitto è stata una: possiamo fare qualcosa? Sicuramente sì, se lo si vuole, tutti insieme. Per fare in modo che contesti del genere non si creino più, serve la collaborazione di tutti e delle associazioni datoriali agricole in particolare.
Il tema si inserisce in un contesto normativo incerto: da un lato, dal 6 febbraio 2016, con il decreto legislativo 8 del 15 gennaio, è stato depenalizzato ad illecito amministrativo il reato di somministrazione di lavoro abusiva, utilizzazione illecita, appalto e distacco illeciti. La tutela penale ha lasciato il posto alle sanzioni amministrative. D'altro canto, anche grazie a una campagna attivata e voluta dal sindacato che interessa una ampia parte della popolazione civile (passata sotto il nome di ColtiviamoDiritti) ha passato l'esame al Senato il DDL 2217 contro il caporalato: rappresenta un passo avanti per dare giustizia a tanti lavoratori e lavoratrici che, in agricoltura, sono costretti a subire sfruttamento, ricatti, salari da tre euro l'ora, giornate di lavoro che arrivano a 13 ore, situazioni alloggiative precarie e indegne, assenza di servizi e, infine, isolamento dal resto del tessuto sociale.
Il DDL riscrive il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, prevedendo la responsabilità diretta del datore di lavoro, la semplificazione degli indici di sfruttamento e la possibilità di commissariamento dell’azienda. Con il nuovo disegno di legge è prevista la reclusione da uno a sei anni per l’intermediario e per il datore di lavoro che sfrutti i lavoratori, approfittando del loro stato di bisogno.
La Legge ancora non c'è, ma l'esigenza che questa venga promulgata è evidente.
Ma già ora possiamo fare qualcosa, nel nostro piccolo, a Piacenza.
E' una proposta che come Flai Cgil – con il supporto di tutta l'organizzazione – ci sentiamo di lanciare a tutta la filiera agricola, e passa dalle trattative in corso del Contratto provinciale Operai Agricoli. Occorre una responsabilizzazione di tutti su questi temi. E possiamo farlo a quel tavolo, affinché si affermi la necessità di lavoro legale e di qualità, nelle stalle e nei campi. Al di là delle questioni economiche e salariali, abbiamo gli strumenti per andare nella direzione giusta. Mi spingo oltre: come primo atto forte e concreto, limitiamo il più possibile il ricorso agli appalti nei nostri campi. Da un lato, ci sono tutti strumenti di flessibilità nelle norme contrattuali che rendono superfluo il ricorso a forme di lavoro in appalto; forme che possono sottintendere situazioni di caporalato. Il rischio è quello di creare le basi per situazioni anomale e di sfruttamento che abbiamo già vissuto in altri comparti (leggasi: logistica). Non è il caso che sembra profilarsi con il delitto di cui parliamo. Ma gli anticorpi per questo genere di situazioni passano anche da regole e assunzione di responsabilità condivisi.