Si è tenuta questa mattina la cerimonia di intitolazione dell’area verde di via Spezzaferri – in zona Farnesiana – al Monte Pasubio, teatro di lunghi e cruenti combattimenti, dal 1922 designato come zona sacra alla Patria in memoria dei Caduti. Accanto al sindaco Paolo Dosi, sarà presente il sindaco del Comune Valli del Pasubio, Armando Cunegato. La benedizione è stata affidata a don Maurizio Noberini, parroco di Santa Franca.
Saluto per intitolazione dell’area verde di via Spezzaferri
“Sulla strada del Monte Pasubio – recita un canto ispirato alle tragiche vicende che hanno segnato la storia di quelle vette – lenta sale una lunga colonna. E’ la marcia di chi non torna, di chi si ferma a morir lassù”. Furono migliaia, negli anni della Grande Guerra, le vittime dei cruenti scontri che videro contrapporsi le truppe austriache e diversi reparti del Regio Esercito italiano, lungo un crinale che rappresentava, per entrambi gli schieramenti, un baluardo di assoluta importanza strategica. Oggi, nell’imminenza del centenario di una delle più sanguinose battaglie che si combatterono tra le cime delle Prealpi vicentine, intitoliamo questo giardino al massiccio del Pasubio – designato dal 1922 come zona sacra alla Patria – onorando il ricordo dei Caduti, mentre ci stingiamo idealmente, in una cerimonia semplice ma profondamente sentita, alla comunità rappresentata dal sindaco di Valli del Pasubio Armando Cunegato, che ringrazio per la sua partecipazione.
Era primavera, maggio 2015, quando gli Alpini del Battaglione Vicenza varcarono, per primi, il confine. La reazione pesante dello Stato Maggiore Imperiale si fece attendere, ma un anno più tardi le truppe austroungariche misero a segno una dura rappresaglia. Ne seguirono mesi di battaglia durante i quali, nella notte del 10 luglio, dopo un’audace azione che li aveva già portati a conquistare il Selletta e il Corno di Vallarsa, gli Alpini proseguirono l’attacco senza attendere i rinforzi. In breve vennero accerchiati e fatti prigionieri; tra loro, subito separati dal gruppo e condannati a morte per alto tradimento, c’erano anche gli irridentisti trentini Cesare Battisti e Fabio Filzi, che solo due giorni più tardi furono impiccati nel fossato del Castello del Buonconsiglio di Trento. Da allora, il Corno di Vallarsa venne chiamato Corno Battisti, a indicare – anche nel nome – la sua valenza simbolica nella storia del nostro Paese.
Fu nell’autunno di quello stesso anno, che il conflitto armato sul Pasubio assunse proporzioni devastanti: in poco meno di due settimane, tra il settembre e l’ottobre del 1916, si calcolarono 11 mila tra morti, feriti e dispersi, in una stima i cui numeri non fanno distinzione tra divise e bandiere. Solo persone. Vite umane. Carne da cannone, dall’una e dall’altra parte della barricata. E per chi era sopravvissuto, per chi venne mandato in trincea successivamente, arrivò il freddo dell’inverno, la rigidità dei mesi trascorsi in cunicoli scavati per ripararsi dal gelo – rischiando, ad ogni istante, di essere travolti da una valanga – in un imponente reticolo di gallerie difensive che aveva fatto, di ciascuno dei due speroni noti come “Denti”, vere e proprie fortezze.
I colpi di artiglieria e le esplosioni delle mine tra il 1917 e il 1918 furono così violenti da erodere quelle rocce millenarie, tuttavia senza modificare in modo sostanziale gli equilibri. Sino a quando, nel maggio 1918, un decisivo attacco italiano portò alla conquista del Corno Battisti, difendendo nei mesi a venire l’avamposto per il quale così tanti commilitoni e compagni di battaglia erano caduti. Il 2 novembre, i reggimenti austriaci si ritirarono e i reparti italiani della prima armata marciavano verso Trento.
A un secolo di distanza da quei drammatici eventi, Piacenza rende il proprio tributo a quelle vite spezzate, annichilite, piegate dalla brutalità di un conflitto di cui tuttora – a dispetto del tempo trascorso e della distanza geografica – non possiamo leggere il bollettino senza commozione. Condividiamo le lacrime delle famiglie, che hanno atteso invano il ritorno dei loro cari, e il dolore muto delle pietre che recano ferite mai rimarginate, tra le quali dal 1926 sorge il Sacrario che è testimonianza e monito, affinchè non accada mai più.
Con questa consapevolezza mi rivolgo, a nome dell’Amministrazione comunale, al sindaco Cunegato, ai suoi colleghi di Giunta e alla delegazione che oggi lo ha accompagnato. Siamo orgogliosi di poter onorare, insieme a voi, la memoria di coloro che tra quelle vette così vicine al cielo hanno trovato la morte e di chi, con coraggio e in condizioni estreme, pur resistendo all’artigliera nemica, agli stenti, al buio inospitale della trincea, in quei luoghi ha perso forse per sempre la propria innocenza, le proprie speranze. Le affidiamo allora, idealmente, allo sguardo limpido dei bambini che frequentano quest’area verde, affinchè il ricordo di ciò che è stato ci aiuti, giorno dopo giorno, a costruire una società migliore, che non accetti più di mandare i propri figli incontro a un simile, amaro destino, ma sappia invece tutelare e promuovere il valore della pace tra i popoli.
Grazie.